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Strategie di engagement sui social media: lezioni e metodologie per un successo sostenibile

Immagine del redattore: Andrea ViliottiAndrea Viliotti

Aggiornamento: 9 gen

Evaluating the effect of viral posts on social media engagement” di Emanuele Sangiorgio, Niccolò Di Marco e Gabriele Etta, in collaborazione con il Department of Social Sciences and Economics di Sapienza University of Rome, il Department of Computer Science di Sapienza University of Rome e la Université d’Angers, ha analizzato l’impatto dei post virali sulle piattaforme Facebook e YouTube, considerando oltre mille testate europee dal 2018 al 2023. L’indagine si concentra sulle differenze tra picchi fugaci di visibilità e strategie di crescita continua, individuando come i contenuti virali non garantiscano sempre un ritorno significativo in termini di engagement, né conducano di frequente a crescite durature. Per imprenditori e dirigenti, le Strategie di Engagement sui Social Media suggeriscono piani editoriali orientati a un’attenzione costante e sostenibile, piuttosto che sperare in successi effimeri legati a eventi virali.

Strategie di engagement sui social media
Strategie di engagement sui social media: lezioni e metodologie per un successo sostenibile

Strategie di engagement sui social media: teoria e pratica della viralità

Lo studio prende forma a partire dall’osservazione dell’odierna attention economy, una realtà nella quale la risorsa più contesa è l’attenzione degli utenti. Piattaforme come Facebook e YouTube consentono, con rapidità straordinaria, di diffondere notizie e contenuti in tutto il mondo. Secondo quanto emerge nell’indagine “Evaluating the effect of viral posts on social media engagement”, la viralità viene spesso considerata un fenomeno in grado di generare contatti massivi e immediati; tuttavia, l’analisi su un ampio campione di testate europee ha mostrato come questi picchi istantanei di popolarità non si traducano quasi mai in un effettivo incremento duraturo dell’attenzione nei confronti della fonte.


L’interesse scientifico per la viralità è legato alla necessità di comprendere perché alcuni contenuti diventino popolari e ottengano notevoli livelli di interazione, mentre altri, potenzialmente di pari o maggiore qualità, passino inosservati. Da un lato, ci sono modelli che attribuiscono la viralità alla carica emotiva o alla polarizzazione che accompagna certi contenuti. Dall’altro, emergono considerazioni strutturali come le dinamiche di condivisione e il funzionamento degli algoritmi di raccomandazione. Il lavoro di Sangiorgio e colleghi ha cercato di individuare con maggior precisione i meccanismi che traducono un contenuto virale in un potenziale vantaggio competitivo per la fonte che lo pubblica.


L’indagine, condotta su Facebook e YouTube dal 2018 al 2023, ha considerato news outlet provenienti da vari Paesi europei, tra cui Italia, Germania, Francia e Regno Unito. Grazie a un enorme set di dati cronologici, con milioni di post e video analizzati, lo studio si è focalizzato sull’engagement totale generato (somma di Like, Commenti e Condivisioni per Facebook, mentre su YouTube sono stati valutati Like e Commenti) e sulle metriche di diffusione (ad esempio le visualizzazioni su YouTube). Per valutare se un post fosse effettivamente “virale”, sono stati introdotti parametri statistici volti a misurare la spreading e le interactions, come la funzione S_ijt = ln(Shares_ij / Followers_it) per Facebook e S_ijt = ln(Views_ij) per YouTube. Tali grandezze, combinate fra loro, hanno permesso di individuare i contenuti eccezionalmente performanti in termini di copertura e coinvolgimento.


La ricerca evidenzia che, una volta applicata la standardizzazione dei parametri tramite il metodo dello z-score, il quale misura la distanza di un valore rispetto alla media annuale di riferimento per ogni Paese, risulta che solo una piccolissima percentuale di post eccezionali viene effettivamente classificata come “virale”. Contrariamente alla convinzione diffusa che la viralità rappresenti un motore per una rapida e consistente crescita del pubblico, i dati mostrano che, nella maggior parte dei casi, i picchi di attenzione generati non producono un impatto significativo. In alcuni scenari, questi picchi possono addirittura essere seguiti da una graduale diminuzione dell’interesse nel tempo.


Per un’azienda che investe nel social media marketing, diventa fondamentale considerare come un fenomeno spesso ritenuto cruciale per incrementare rapidamente la visibilità, come la viralità, possa in realtà rivelarsi meno vantaggioso di quanto comunemente si creda. La parte teorica della ricerca evidenzia l'importanza di concepire l’attenzione collettiva come una risorsa elastica e limitata, che non può essere ampliata oltre un certo punto senza subire un successivo calo o un rapido ridimensionamento dopo aver raggiunto un picco. Questo evidenzia la necessità di sviluppare studi che uniscano l’analisi emotiva e sociologica della viralità a modelli quantitativi, utili per comprendere con maggiore precisione gli effetti reali di questi fenomeni.


Metodologie per l’analisi delle strategie di engagement su Facebook e YouTube

Nella ricerca è stato adottato un disegno metodologico avanzato basato su un approccio quantitativo sofisticato per analizzare gli effetti a lungo termine dei post virali. In particolare, è stato utilizzato un modello Bayesian structural time series, una tecnica statistica che consente di stimare l’impatto di eventi specifici nel tempo, integrata con un disegno di analisi denominato Comparative Interrupted Time-Series (CITS). Questo approccio ha permesso di confrontare i livelli di engagement (coinvolgimento degli utenti) prima e dopo la pubblicazione di un post classificato come virale.


Grazie a tale modello, è stato possibile isolare gli effetti reali del singolo contenuto, distinguendoli da altre variabili che potrebbero influenzare i risultati, come i cambiamenti stagionali o la frequenza di pubblicazione. In questo modo, si è cercato di ottenere un quadro più preciso e affidabile sull’impatto effettivo della viralità nel contesto analizzato.

Il primo passo della ricerca è stato definire il concetto di engagement, inteso come il livello di interazione degli utenti con i contenuti pubblicati. Per calcolarlo, sono state sviluppate funzioni matematiche specifiche per misurare le interazioni totali (TI) di una pagina in un dato giorno.


Su Facebook, l’engagement di ciascun contenuto è stato calcolato attraverso la formula logaritmica TI_ijt = ln(Likes_ij + Comments_ij + Shares_ij), che somma i "mi piace", i commenti e le condivisioni, fornendo una misura sintetica del coinvolgimento. Su YouTube, invece, a causa delle diverse dinamiche di interazione, è stata utilizzata la formula TI_ijt = ln(Likes_ij + Comments_ij), che esclude le condivisioni poiché la piattaforma non ne facilita il tracciamento in modo analogo a Facebook.


Successivamente, per misurare la spreading, ovvero la velocità con cui il contenuto si diffonde tra gli utenti, sono state definite metriche distinte per ciascuna piattaforma. Su Facebook, la velocità di diffusione è stata calcolata come S_ijt = ln(Shares_ij / Followers_it), rapportando il numero di condivisioni al totale dei follower della pagina, per tenere conto della dimensione del pubblico. Su YouTube, invece, la diffusione è stata misurata con la formula S_ijt = ln(Views_ij), considerando il numero di visualizzazioni, in linea con la struttura e le peculiarità della piattaforma video.


Queste metriche hanno permesso di adattare l’analisi alle caratteristiche specifiche di ciascun social network, garantendo una valutazione più accurata del coinvolgimento e della diffusione dei contenuti.


A fronte di milioni di post scaricati tramite CrowdTangle per Facebook e l’API di YouTube, si è effettuata una “pulizia” del dataset, conservando i contenuti pubblicati da oltre un migliaio di testate europee, tutte attive e con cronologie di pubblicazione che coprissero in modo continuo il periodo di osservazione. L’obiettivo principale è stato valutare come cambia l’attenzione complessiva della fonte (in termini di engagement giornaliero) se, all’interno di una certa finestra temporale, si verifica una o più pubblicazioni virali. I ricercatori hanno aumentato progressivamente l’ampiezza della finestra di osservazione (ad esempio da due a quattro e poi sei settimane), per capire se il picco registrato fosse duraturo o si esaurisse rapidamente.


Dai risultati del modello, si è tracciato un quadro statistico della persistenza o della transitorietà dell’effetto virale. In particolare, il BSTS (Bayesian structural time series) ha fornito un parametro di p value utile per comprendere se l’engagement superasse realmente le attese o se la fluttuazione fosse priva di rilevanza. Nella maggior parte dei casi analizzati, le variazioni di engagement non avevano significatività statistica, a conferma di come, alla prova dei numeri, la tanto ricercata viralità non sempre influenzi l’andamento della pagina.


Uno degli aspetti più interessanti è l’indagine sulle dinamiche di crescita o calo dell’attenzione prima del post virale. I ricercatori hanno notato una correlazione negativa: se l’andamento precedente era in ascesa, l’evento virale spesso segnava il culmine, seguito da una discesa; viceversa, quando si riscontrava un calo di attenzione, il picco virale poteva coincidere con una ripresa temporanea. Tali schemi ripetitivi testimoniano che la viralità non è un fenomeno casuale, bensì risponde a modelli di risposta collettiva radicati nel comportamento degli utenti. L’approccio metodologico, basato su un ricco dataset e su un’analisi strutturata, ha contribuito a evidenziare con chiarezza come i contenuti virali raramente producano una crescita esponenziale e sostenuta nel tempo.


Per i manager e gli imprenditori, il valore di questo robusto metodo è nell’evidenza che non basta misurare singoli picchi eclatanti di engagement: occorre un monitoraggio prolungato e un’analisi comparativa che isoli gli effetti di periodi diversi, così da capire in che misura un evento inatteso modifichi davvero la traiettoria complessiva delle performance di una pagina.


Il fenomeno della viralità e i due modelli emergenti di crescita dell’attenzione

L’indagine ha permesso di delineare due tipologie principali di eventi virali, corrispondenti a meccanismi diversi nell’attirare e, soprattutto, nel mantenere l’attenzione degli utenti. Il primo meccanismo è stato definito ‘loaded-type’, dove il contenuto virale viene anticipato da una fase di crescita costante dell’engagement, quasi come se l’attenzione si stesse progressivamente “caricando” fino a sfociare in un picco vistoso. Nella maggior parte di questi casi, la pubblicazione virale segna l’apice e seguita poi da un declino, più o meno rapido, che riporta il livello di attenzione a valori precedenti la fase di espansione.


Il secondo meccanismo, invece, è stato definito ‘sudden-type’, in cui la notizia o il contenuto appaiono all’improvviso, fuori da ogni tendenza di crescita già in atto. Qui, l’evento virale diventa l’elemento che “riattiva” l’attenzione collettiva. È proprio in queste circostanze che il picco di visibilità produce un significativo incremento di engagement, almeno nel breve termine, quasi come se l’attenzione si fosse riaccesa proprio grazie a quel contenuto inaspettato. La ricerca mostra che, anche in questo caso, la durata della crescita non è affatto garantita; superato il momento di sorpresa o clamore, l’attenzione torna spesso a stabilizzarsi su valori simili o leggermente superiori rispetto a quelli precedenti.


Dal confronto di questi due paradigmi, emerge la natura elastica dell’attenzione collettiva, dove picchi repentini si rivelano sì potenzialmente dirompenti, ma altrettanto spesso transitori. Nell’indagine, è stato interessante constatare che i post “caricati” da un periodo di crescita pregresso mostravano una tendenza a ripiegare in maniera più marcata, quasi fosse un fuoco di paglia. I contenuti del tipo “sudden”, invece, potevano talvolta regalare una boccata d’ossigeno più tangibile a pagine in lieve difficoltà, però tale effetto non sempre si protraeva nel medio-lungo termine.


Per i leader aziendali, questa visione a due velocità si traduce in un monito: inseguire il contenuto ad “alto impatto emotivo” che, improvvisamente, diventa virale, non costituisce una strategia solida per chi cerca di costruire un rapporto duraturo con il pubblico. Qualora l’obiettivo sia alimentare un brand o mantenere costante l’attenzione su un servizio, può risultare più produttivo concentrarsi su un piano editoriale capace di generare regolarmente contenuti di qualità, coltivando l’interesse dei follower in maniera progressiva. Gli imprenditori più avveduti potranno leggere questi risultati come un’esortazione a non focalizzarsi esclusivamente su singoli momenti di popolarità, bensì a interpretare la viralità come un possibile, ma non certo, picco temporaneo di attenzione da integrare in una strategia più ampia.


Altra implicazione rilevante è la distinzione netta tra le dinamiche di breve termine e quelle di più ampio respiro. Tanti casi di “ascesa fulminea” di un contenuto mostrano come, già dopo poche settimane, gli effetti percepiti possano dissolversi quasi del tutto, lasciando il ricordo di un exploit che non ha portato alcun valore stabile. Analizzare in profondità il fenomeno consente dunque di chiarire i rischi di un’eccessiva dipendenza dalla viralità e di suggerire approcci multiformi, anche dal punto di vista editoriale, per massimizzare l’impatto di ogni pubblicazione.


Effetti virali e strategie di engagement per aziende e manager

Il lavoro “Evaluating the effect of viral posts on social media engagement” ha permesso di collegare il fattore rapidità di un picco virale alla sua durata effettiva nel tempo, passando al vaglio l’emersione dell’effetto nelle primissime settimane e verificando se persista o scompaia in seguito. Dai dati emerge che gli impatti più veloci – ossia quelli che si manifestano entro due settimane – risultano i meno durevoli. Al contrario, quando un contenuto impiega più tempo a emergere, la tendenza a permanere su livelli alti di engagement appare leggermente maggiore.


In un’ottica aziendale, questo significa che un post di grandissimo successo immediato potrebbe non garantire una fidelizzazione reale dell’utenza, mentre un fenomeno di crescita più graduale può gettare basi migliori per la creazione di una relazione stabile con il pubblico. Dai modelli previsionali si è verificato, infatti, che nel 50% dei casi l’effetto di un post virale “lampo” sparisce già entro la successiva settimana, e che puntare eccessivamente sulla viralità come motore unico della strategia di comunicazione può rivelarsi poco efficace. La spiegazione va ricercata nella natura stessa dell’attenzione collettiva sui social: gli utenti, una volta consumato il contenuto emotivamente rilevante, tendono rapidamente a spostare il proprio focus su nuovi argomenti.


Per chi gestisce la comunicazione online di un brand, i risultati della ricerca suggeriscono di ripensare piani di social media marketing non come caccia al “colpo clamoroso”, bensì come un processo di costruzione costante. Un esempio concreto potrebbe essere quello di un’azienda che decide di pubblicare, con regolarità settimanale, approfondimenti ben curati su un tema verticale, in modo da guadagnare credibilità nel tempo. Un singolo post dal tono polemico o estremamente accattivante può balzare agli onori delle condivisioni, ma se non inserito in un percorso di contenuti coerenti e di qualità, rischia di tradursi in un effimero successo di numeri che non lascia traccia duratura.


Un altro aspetto messo in luce è la difficoltà di generalizzare le conclusioni a tutte le piattaforme e a ogni tipologia di contenuto, perché lo studio ha esaminato un campione di testate giornalistiche, quindi testate accomunate dall’attualità dei contenuti. Probabilmente, in settori come l’intrattenimento o l’influencer marketing, la viralità segue traiettorie differenti. Ciò non toglie che la logica di base – cioè, l’attenzione che sale in maniera repentina per poi decrescere – sia un tratto comune a molti scenari social. Le aziende interessate a sfruttare la potenza della condivisione online trovano nei risultati di questa ricerca un invito a pianificare in modo oculato e ad arricchire costantemente l’offerta di contenuti, anziché aspettarsi risultati definitivi da un’unica azione spettacolare.


Più nello specifico, adottare strumenti d’analisi evoluti, come il Bayesian structural time series model, dà la possibilità di valutare in maniera più accurata l’impatto di ogni attività di comunicazione. Se, dopo un picco, non si notano effetti positivi duraturi, forse è meglio focalizzare le risorse su un posizionamento continuo, lavorando su una narrazione coerente, piuttosto che insistere su sperimentazioni più estreme. La ricerca sui social media è ancora in continua evoluzione, ma questa prospettiva offre già spunti tangibili per leggere i risultati con uno sguardo critico.


Costruire strategie di engagement: pratiche per una crescita sostenibile

Analizzando i risultati proposti in “Evaluating the effect of viral posts on social media engagement”, le aziende che desiderano massimizzare la propria presenza online trovano più di un consiglio pratico. Innanzitutto, la ricerca evidenzia l’importanza di non affidarsi solo al numero dei follower o a forme di auto-promozione superficiale. La metrica di spreading su Facebook, espressa da S_ijt = ln(Shares_ij / Followers_it), ha fatto emergere che pure chi gode di un’ampia base di seguaci può vedere certi contenuti diffondersi poco, mentre talvolta pagine più piccole ottengono un picco, grazie alla risonanza di una notizia inattesa o di un format nuovo.


Chi pianifica una campagna di comunicazione deve quindi mettere in conto una possibile imprevedibilità: l’elemento improvviso che accende l’attenzione potrebbe non essere lo stesso che la mantiene viva. Un esempio può essere la pubblicazione di un video su YouTube che in pochi giorni ottiene migliaia di visualizzazioni, ma si dimostra incapace di portare iscrizioni o commenti. Al contrario, un canale con meno visualizzazioni per singolo video ma costanza nell’aggiornamento e negli argomenti trattati può risultare favorito nel tempo.


Un altro spunto rilevante riguarda la distribuzione dell’impegno editoriale. Pianificare un calendario con post a tema, rubriche settimanali e momenti di interazione diretta con il pubblico permette di dosare la creatività, senza concentrarla in un unico contenuto “esplosivo”. In caso di successo improvviso, conviene sfruttare la scia per condividere ulteriori approfondimenti collegati, facendo comprendere al pubblico che quell’exploit non è casuale ma deriva da un’attenzione costante alla qualità. È un concetto chiave soprattutto per le aziende che vendono prodotti di nicchia o servizi di consulenza, dove la credibilità si costruisce nel tempo e ogni picco di notorietà, se non supportato da un’impronta editoriale solida, non porta reali vantaggi in termini di business.


Per rendere comprensibili fenomeni complessi a un pubblico vasto, conviene offrire esempi pratici. Immaginare una testata locale che, durante un evento cittadino di grande richiamo, pubblichi un post con informazioni in tempo reale e ottenga un’elevata quantità di condivisioni nelle prime ore. Ciò può gonfiare le statistiche di breve periodo, ma se il giorno dopo non c’è un piano di contenuti che fidelizzi i nuovi lettori, l’attenzione scema e i numeri della testata tornano nella media. Al contrario, la stessa testata, se avesse costruito un palinsesto di servizi, inchieste e dirette, consolidando l’abitudine del pubblico a consultarla, avrebbe ottimi motivi per sperare in una crescita meno vistosa ma più solida, trainata dalla percezione di affidabilità.


Questa prospettiva operativa conferma l’idea chiave dello studio: la viralità non è la panacea del marketing digitale. Affidarsi a una dinamica così volubile rischia di trasformare la comunicazione aziendale in un susseguirsi di alti e bassi che non generano un legame vero con la community. Il messaggio conclusivo è che ogni spike di visibilità andrebbe integrato in una strategia di rafforzamento della reputazione, facendo leva su contenuti pertinenti e continuativi. Solo così si può trasformare un momento di interesse straordinario in una potenziale base di utenti fidelizzati e pronti a ricercare attivamente i nuovi contenuti pubblicati.

 

Conclusioni

La ricerca “Evaluating the effect of viral posts on social media engagement” ribalta l’idea più diffusa sulla viralità. Ci si potrebbe aspettare che ogni picco di interesse offra un sostanziale vantaggio di lungo periodo, ma i risultati mostrano un quadro meno lineare. Non è sufficiente ottenere un exploit di visualizzazioni e interazioni per consolidare la crescita: spesso, tali spinte si affievoliscono rapidamente e non lasciano tracce tangibili. Il suggerimento chiave per imprenditori e dirigenti è di confrontare sempre il potenziale effetto virale con altre tecnologie e strategie già presenti sul mercato, come i piani editoriali ben strutturati o l’uso costante di campagne social che alimentano la reputazione e la fiducia degli utenti.


Rispetto allo stato dell’arte, lo studio evidenzia una distinzione tra piattaforme e contenuti, ma offre un messaggio univoco: la viralità, da sola, difficilmente costruisce valore durevole. In mercati dove abbondano influencer e creatori di contenuti emergenti, è probabile che anche i concorrenti sperimentino picchi di attenzione. Conviene allora giocare su strategie che potenzino la propria identità, piuttosto che puntare tutto sul post che domina per qualche giorno la scena. L’originalità della prospettiva è data dalla dimostrazione quantitativa che i post virali spesso non producono una svolta in termini di engagement nel medio-lungo termine, lasciando emergere una necessità di modelli più attenti alle dinamiche di continuità.


Gli imprenditori più interessati a investire sulle piattaforme digitali potranno così ragionare non solo sul “che cosa” promuovere, ma soprattutto sul “come” mantenere alta l’attenzione degli utenti. Al di là del fenomeno di nicchia, questo suggerisce che il vero vantaggio competitivo deriva da una serie di azioni ben integrate: cura del contenuto, capacità di differenziarsi rispetto ad alternative già esistenti e costruzione di legami emotivi con la community. Ridurre l’intera strategia a un singolo episodio virale potrebbe rivelarsi un’arma spuntata, soprattutto quando l’entusiasmo iniziale finisce e l’attenzione si sposta su qualcosa di nuovo.


 

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