Adozione Strategica dell'AI nella PA: Intervista con Marco Carlomagno, Segretario Generale FLP
- Andrea Viliotti
- 7 ore fa
- Tempo di lettura: 17 min
Come governare la trasformazione tra carenza di personale, sovranità digitale e nuove tutele per i lavoratori.
L'adozione dell'Intelligenza Artificiale nei processi organizzativi non è un semplice aggiornamento tecnologico, ma una trasformazione che tocca cultura e strategie, richiedendo un approccio olistico. L'esperienza della Pubblica Amministrazione italiana, con le sue sfide e successi, offre un eccezionale laboratorio di apprendimento. Per esplorare questo scenario, ho il piacere di dialogare con Marco Carlomagno, Segretario Generale della FLP (Federazione Lavoratori Pubblici e Funzioni Pubbliche). Figura di spicco nel sindacalismo autonomo, con una lunga esperienza come funzionario pubblico e una solida preparazione accademica, Carlomagno unisce la difesa dei lavoratori a una visione innovatrice della PA, che considera un motore per il rilancio del Paese.
13. Conclusioni
11. FAQ
Visione Strategica e Sfide Strutturali: Quale Ruolo per l'AI nella PA Italiana?
Segretario Carlomagno, il contesto digitale italiano presenta un paradosso evidente. Da un lato, il Digital Decade Report ci posiziona sotto la media europea per competenze di base, e lei stesso denuncia da anni una cronica carenza di personale. Dall'altro, vediamo emergere punte di eccellenza come quelle dell'Agenzia delle Entrate e dell'INPS, che utilizzano con successo l'AI per il contrasto all'evasione e la gestione dei servizi, dimostrando un'elevata capacità di innovazione. Lei ha definito questo scenario un "eccezionale laboratorio di apprendimento".
Partendo da questa prospettiva, qual è la sua visione complessiva sul ruolo che l'Intelligenza Artificiale dovrebbe giocare nella PA italiana? Come si può bilanciare la spinta verso l'innovazione tecnologica con le sfide strutturali che frenano il sistema, come appunto la carenza di personale e di competenze?
«L’introduzione dell’Intelligenza Artificiale nella Pubblica Amministrazione può generare un impatto significativo sia nell’erogazione dei servizi pubblici sia nel funzionamento interno delle strutture amministrative. Le soluzioni basate su AI possono rendere i servizi più tempestivi, accessibili ed economicamente sostenibili, migliorando complessivamente la qualità delle informazioni e delle risposte fornite a cittadini e imprese. Allo stesso tempo, l’AI può contribuire a razionalizzare processi e sistemi interni, favorendo una maggiore efficienza operativa e decisionale.
Un punto fondamentale riguarda la necessità di superare i limiti tecnologici attuali, adottando soluzioni avanzate, sostenibili e integrate con l’architettura informatica esistente. Le tecnologie di Machine Learning più consolidate, affidabili e a basso impatto ambientale dovrebbero essere privilegiate rispetto a soluzioni basate esclusivamente su tendenze di mercato legate all’AI generativa, spesso meno mature e più energivore. Al tempo stesso, risulta fondamentale favorire l’integrazione dell’AI nei sistemi informativi esistenti della PA, per garantire coerenza architetturale e massimizzare l’efficacia delle soluzioni implementate.
Tuttavia, l’innovazione tecnologica da sola non basta. Per garantire un’adozione efficace e sostenibile dell’AI nella PA, è indispensabile investire su competenze specifiche e trasversali. Ogni amministrazione dovrebbe mappare le proprie risorse interne, rafforzare le competenze tecniche e gestionali e promuovere percorsi formativi differenziati per ruolo, livello e contesto.»
Oltre la Burocrazia Artificiale: Come Evitare di Automatizzare l'Inefficienza
Uno dei rischi più discussi quando si introduce una nuova tecnologia in un'organizzazione complessa è quello di usarla per accelerare procedure obsolete, creando quella che è stata definita "burocrazia artificiale". Lei ha sempre sostenuto la necessità di passare da una cultura dell'adempimento a una orientata ai risultati.
Come si può evitare che l'AI diventi un motore per rendere l'inefficienza più veloce? Quali azioni concrete, a livello contrattuale e organizzativo, sono necessarie per garantire che l'adozione dell'AI sia sempre preceduta da una reale semplificazione e reingegnerizzazione dei processi, come suggerito dal principio "prima ripensare il processo, poi applicare l'AI"?
«L’AI rappresenta una delle trasformazioni più profonde che la Pubblica Amministrazione si trovi ad affrontare nel XXI secolo: l’automazione dei processi, l’analisi predittiva dei dati, l’adozione di assistenti virtuali e algoritmi decisionali modificheranno radicalmente l’organizzazione del lavoro, i profili professionali, le modalità di erogazione dei servizi e, conseguentemente, il ruolo del lavoro pubblico. Molte attività ripetitive, come protocollazione, gestione documentale e risposte standard, possono essere automatizzate, con ricadute dirette sui carichi di lavoro e sulla redistribuzione delle risorse umane.
Questo scenario impone una revisione dei profili professionali e delle famiglie contrattuali. Servono nuove figure tecniche (analisti di dati, esperti di cybersecurity, sviluppatori, specialisti in etica dell’AI), ma anche la valorizzazione delle professionalità tipiche delle attività delle Pubbliche amministrazioni come quelle giuridiche, economiche, statistiche e ispettive, correlandole alle nuove tecnologie e alla necessaria riscrittura dei processi lavorativi. Cambieranno i modelli organizzativi (più lavoro in remoto, team interfunzionali, strumenti di collaborazione basati su AI) e crescerà la centralità del decision making supportato da algoritmi.
Affinché l’AI non diventi un acceleratore di inefficienza, è indispensabile che la sua adozione sia preceduta da una vera reingegnerizzazione dei processi. "Prima ripensare il processo, poi applicare l'AI" deve diventare una linea guida irrinunciabile, anche a livello contrattuale e organizzativo.»
Il Paradosso Digitale Italiano: È Possibile Parlare di AI in un Contesto di Arretratezza?
Questo ci porta a una domanda fondamentale. Con un'adozione dell'AI da parte delle imprese ferma al 5% e, come emerge da diverse analisi, quasi il 70% delle istituzioni pubbliche che lamenta una carenza di personale qualificato in ambito ICT, parlare di intelligenza artificiale non rischia di essere un esercizio puramente teorico, slegato dalla realtà operativa?
È possibile oggi parlare di AI nelle Pubbliche Amministrazioni che ancora oggi vengono in buona parte considerate un settore caratterizzato da arretratezza digitale e di scarsa innovazione?
«Parlare oggi di AI nella PA è non solo possibile, ma necessario. Certamente la PA italiana soffre ancora di un ritardo digitale strutturale, ma è proprio per questo che l’adozione dell’AI può diventare un volano per superare vecchie rigidità. Serve, però, un cambio di approccio: non basta introdurre la tecnologia, occorre mettere in moto sinergie organizzative, procedurali e professionali, che possono permettere effettivamente un utilizzo proficuo di questa straordinaria opportunità che la tecnologia ci mette a disposizione.
È quindi opportuno che la questione non venga affrontata unicamente dal punto di vista tecnologico, che non resti materia di esclusivo appannaggio dei “tecnici”, ma diventi un elemento trasversale, in grado di orientare le scelte strategiche e gestionali dell’intera amministrazione. In questi anni è cambiato il modo di lavorare, la digitalizzazione, seppur faticosamente, si è fatta largo modificando i processi lavorativi e le modalità di rapportarsi con cittadini e imprese. Occorre consolidare la digitalizzazione, rafforzare la formazione integrata e reclutare nuove competenze.
L'utilizzo dell'AI nella PA ha potenzialità enormi nell'ambito di un forte impulso alla digitalizzazione dei processi e dei servizi che, anche se ancora a macchia di leopardo, si sta diffondendo nelle diverse PA. Siamo anche consapevoli della necessità di affrontare con adeguati strumenti, le implicazioni di carattere etico, legale e di contenuti, legate all'utilizzo dell'AI nella PA, in un contesto in un continuo divenire e con aspetti ancora da definire e regolamentare a livello nazionale e internazionale. Le applicazioni più promettenti, al netto delle riserve sulla AI cognitiva (per gli aspetti di privacy, di correttezza dell'informazioni e delle fonti), riguardano già il breve periodo: contrasto a evasione e frodi, lavoro nero, incidenti sul lavoro, analisi previdenziali, ma anche servizi informativi personalizzati tramite assistenti virtuali intelligenti. La sfida è grande, ma non possiamo permetterci di restare indietro.»
Capitale Umano vs. Algoritmi: Coltivare l'Intelligenza Naturale per Governare l'AI
Il dibattito sull'AI si concentra spesso sul "divario di competenze" tecniche. Tuttavia, emerge una sfida più sottile, quella del "vuoto di senso": il rischio che la tecnologia evolva più velocemente della nostra capacità di interrogarla criticamente, portando a una delega del pensiero e all'atrofia di quella che è stata definita "intelligenza naturale".
Al di là dell'indispensabile formazione tecnica, come si può coltivare nella PA quella "intelligenza naturale" — pensiero critico, creatività, comprensione del contesto — per lavorare con l'AI e non per l'AI? Come si evita che un'eccessiva fiducia negli algoritmi atrofizzi il capitale intellettuale dell'amministrazione?
«Per lavorare con l’AI, e non per l’AI, la Pubblica Amministrazione deve coltivare il proprio capitale umano. Il pensiero critico, la capacità di analisi, la creatività e la comprensione del contesto restano insostituibili. Oggi cresce la consapevolezza del valore del lavoro pubblico: circa sette lavoratori della Pa su dieci pensano che il loro ruolo attuale sia importante per il sistema Paese ma allo stesso tempo chiedono più valorizzazione del merito e nella fiducia interna. Servono azioni concrete: sostenere una leadership che promuova fiducia e responsabilità, sostenere il lavoro collaborativo, valorizzare il merito e le carriere. I percorsi formativi devono essere trasversali e orientati a rafforzare l’autonomia intellettuale dei lavoratori pubblici. Solo una PA professionalizzata e consapevole è in grado di governare l’AI.»
Una Leadership per il Cambiamento: la Classe Dirigente della PA è Pronta alla Sfida dell'AI?
Una trasformazione così profonda non può avvenire senza una guida adeguata. Lei ha spesso criticato una certa cultura manageriale, parlando di "capi e capetti" più attenti al controllo formale che a promuovere il cambiamento. Questo modello sembra l'antitesi di ciò che serve per governare una tecnologia che richiede sperimentazione e agilità.
Ritiene che l'attuale classe dirigente della PA sia preparata a guidare una trasformazione così complessa? L'istituzione di un "Responsabile per l'AI" in ogni amministrazione, simile al Chief AI Officer americano, potrebbe essere una soluzione efficace per superare la logica dei silos e l'inerzia manageriale che lei stesso ha criticato?
«Le metodologie di selezione della dirigenza stanno cambiando, ma il percorso è ancora lungo. In molte amministrazioni permane una cultura manageriale ancorata a logiche burocratico-formali, poco inclini alla responsabilizzazione e alla flessibilità. Le resistenze che ancora si incontrano in molte realtà per sviluppare modalità organizzative e lavorative flessibili e basate sulla responsabilizzazione dei funzionari dimostrano che il lavoro da fare è ancora molto in questa direzione. In questo contesto, l’istituzione di un “Responsabile AI” rischia di diventare una figura decorativa, se non è inserita in una riforma più ampia. Senza un ridisegno delle strutture e delle responsabilità, si rischia di aggiungere una poltrona, non di avviare un cambiamento.»
La Contrattazione Collettiva come Motore della Transizione Digitale
Nel settore privato, l'AI è spesso associata al timore della sostituzione del lavoro. Nel contesto della PA, con le sue croniche carenze di organico, si apre invece un'opportunità unica di ri-professionalizzazione. Questo cambiamento, però, va governato per evitare che l'automazione si traduca solo in un aumento dei carichi di lavoro.
Il suo sindacato ha creato un gruppo di studio che analizza, tra le altre cose, l'impatto dell'intelligenza artificiale sul lavoro. Quali sono, dal punto di vista della FLP, i principi irrinunciabili che dovrebbero essere inclusi in un accordo per governare l'introduzione dell'AI? In che modo la contrattazione collettiva può diventare il motore per co-progettare questa transizione, garantendo che l'automazione liberi i lavoratori per attività a maggior valore aggiunto, come da lei auspicato?
«La contrattazione collettiva deve essere il motore della transizione digitale. Già nel rinnovo dei CCNL 2025-2027 dovranno essere inseriti principi e regole per governare l’introduzione dell’AI nella PA, accompagnando la digitalizzazione delle Amministrazioni, e soprattutto implementando la formazione integrata del personale, oggi carente e purtroppo a compartimenti stagni, riconvertendo le professionalità e le competenze, superando gli ordinamenti professionali rigidi e valorizzando i profili informatici e tecnici, in gran parte ora deserti. L’AI può diventare leva per rendere la PA attrattiva per i giovani e stimolante per i lavoratori solo se abbandona ordinamenti professionali arcaici e modelli organizzativi vetusti e adotta nuovi modelli organizzativi fondati su digitalizzazione, flessibilità oraria, creatività e lavoro per obiettivi.»
Sovranità Digitale e Autonomia Tecnologica: la Scelta Strategica delle Tecnologie AI
Passiamo a un tema strategico: la "sovranità digitale". Lei ha spesso criticato l'eccessiva esternalizzazione, ma nel campo dell'AI il rischio è ancora più alto, con pochi giganti tecnologici che dominano il mercato. La dipendenza da un unico fornitore, il cosiddetto "vendor lock-in", è una minaccia concreta per l'autonomia di qualsiasi organizzazione, a maggior ragione per lo Stato.
Quale dovrebbe essere la strategia della PA nella scelta delle tecnologie AI? Come si può bilanciare la rapidità offerta da soluzioni "chiavi in mano" con l'esigenza strategica di lungo periodo di sviluppare competenze interne e mantenere l'autonomia tecnologica, evitando appunto il "vendor lock-in"?
«La PA ha rinunciato per troppo tempo allo sviluppo interno delle proprie infrastrutture digitali, affidandosi sistematicamente a fornitori esterni. Questa dipendenza ha generato costi elevati e una perdita di controllo strategico. Avviare un percorso di riappropriazione tecnologica richiede tempo e una strategia articolata. Internalizzazione e esternalizzazione dovranno coesistere in una fase di transizione, ma l’obiettivo deve essere chiaro: garantire la sovranità digitale e ridurre il rischio di “vendor lock-in”. Serve un coordinamento forte, oggi frammentato tra AgID, livelli politici e strutture interne di singole amministrazioni. Solo una regia chiara può evitare che anche l’AI diventi un terreno di ulteriore dipendenza.»
Etica "by Design": Garantire Equità e Trasparenza negli Algoritmi per il Personale
Parliamo di trasparenza e diritti. Le sentenze del Consiglio di Stato impongono che gli algoritmi usati dalla PA siano "conoscibili", ma il rischio di "scatole nere" decisionali rimane alto, specialmente nella gestione del personale. Lei stesso ha definito "di stampo clientelare" i sistemi di valutazione troppo discrezionali, basati sul solo giudizio del dirigente.
Come si può garantire che gli algoritmi utilizzati nella PA, specialmente in ambiti come la valutazione delle performance o le progressioni di carriera, non diventino una forma di discrezionalità ancora più opaca? Quali tutele concrete e meccanismi di ricorso dovrebbero essere previsti per un lavoratore che si senta penalizzato da una decisione automatizzata?
«I sistemi di valutazione del personale oggi non brillano per trasparenza e imparzialità. Manca una cultura della valutazione basata su indicatori oggettivi, e troppo spesso prevale la logica del giudizio discrezionale. In questo senso, l’uso dell’AI non è da demonizzare, purché si fondi su parametri chiari, verificabili e accessibili. Le garanzie per i lavoratori devono essere rafforzate: diritto al riesame, trasparenza algoritmica, accountability. Le tutele all’attualità appaiono spesso solo virtuali e quasi mai le Amministrazioni sono in grado di applicare efficacemente lo strumento del riesame. Vige ancora la logica di non smentire i propri dirigenti e questo purtroppo rende gli attuali sistemi di valutazione non un momento di crescita e miglioramento del lavoro, ma un momento burocratico di attribuzione di “pagelline”, che hanno l’effetto opposto a quello che dovrebbe avere un buon sistema di valutazione. Serve una riforma profonda del sistema valutativo, per trasformarlo in uno strumento di crescita, non in un esercizio formale di assegnazione di "pagelline".»
Dalla Mappatura alla Certificazione: Valorizzare le Competenze Esistenti per Costruire il Futuro
Lei ha definito "inaccettabile" la spesa media per la formazione nella PA, appena 48 euro l'anno per dipendente. Un approccio alternativo, emerso nel dibattito, è quello di partire non dai "gap" da colmare, ma dalla mappatura e certificazione delle competenze già presenti nel personale, anche quelle acquisite in modo informale.
Ritiene che questo approccio — valorizzare ciò che già esiste per costruire il futuro — possa rappresentare una strategia efficace? Partire da una rilevazione delle competenze effettive potrebbe rendere gli investimenti formativi più mirati e utili, oltre a favorire l’emersione di talenti nascosti?
«La conoscenza del personale è il primo passo per valorizzarne le competenze, ma le nostre amministrazioni non conoscono i propri dipendenti. Sono rimaste ancorate al vecchio “stato matricolare”, obsoleto, spesso cartaceo e scollegato dalle reali competenze dei lavoratori. Il mix tra questa gestione borbonica del personale e la mancata formazione rende al momento molto complesso il percorso, in verità iniziato a livello teorico e centralizzato dal Dipartimento della Funzione Pubblica mediante il portale IN PA. La stessa Direttiva del Ministro Zangrillo di garantire almeno 40 ore di formazione annue al personale si scontra con le resistenze interne alle Amministrazioni che vedono ancora la formazione come un momento di “distoglimento dal lavoro”. Il progetto Syllabus seppure importante perché mette comunque a disposizione uno strumento immediate a tutto il personale per come è costruito oggi appare troppo generico.
Ma è indubbio che la strada della rilevazione e direi soprattutto della certificazione delle competenze, è fondamentale se vogliamo accompagnare in modo significativo l’ineludibile processo di innovazione del modo di lavorare nel settore pubblico. Progetti come INPA e Syllabus sono passi in avanti, ma insufficienti. Occorre mappare e certificare le competenze, comprese quelle informali, per costruire percorsi formativi mirati e favorire la crescita professionale. La formazione costituisce uno dei principali asset per migliorare la qualità delle Pubbliche Amministrazioni e deve essere continua, integrata nel lavoro quotidiano, orientata alla trasversalità e all’interdisciplinarietà. Solo così si potranno accompagnare davvero i processi di innovazione e rendere la PA un ambiente dinamico e capace di attrarre talenti. Bisogna entrare nella logica della formazione continua, non vista come un momento a parte, un’interruzione della prestazione lavorativa, quanto invece come parte integrante del lavoro che sempre più necessita in tempo reale di approfondimenti e aggiornamento. Uno strumento, da praticare in modo programmato e integrato, non solo per lavorare meglio, migliorare le performance, allargare conoscenze e competenze, ma anche da utilizzare per consentire l’accrescimento professionale e i percorsi di carriera.»
Superare i Silos: gli Ostacoli Culturali all'Interoperabilità dei Dati nella PA
Casi di successo come quelli dell'Agenzia delle Entrate e dell'INPS dimostrano che l'interoperabilità dei dati è la chiave per un'innovazione efficace. Eppure, il principio "once only" fatica a decollare. La tecnologia, come la Piattaforma Dati Nazionale, esiste. Questo suggerisce che i veri ostacoli non sono tecnologici, ma culturali e organizzativi, legati a quella che lei ha definito una "gelosia istituzionale".
Dal suo punto di osservazione, quali sono i principali ostacoli culturali e organizzativi che impediscono una reale interoperabilità dei dati nella PA? Al di là delle piattaforme tecnologiche come la PDND, cosa serve per convincere ogni singola amministrazione a diventare non solo "fruitore", ma anche "erogatore" affidabile di dati?
«Il principio del "once only" è spesso ostacolato da resistenze di varia natura. Da anni si parla della necessità di interconnettere le banche dati delle diverse amministrazioni, centrali e territoriali. Tuttavia, persistono resistenze di varia natura: strutturali, perché molte banche dati sono obsolete o scarsamente aggiornate; politiche, perché alcune amministrazioni temono di perdere il controllo su dati e attività, in una logica di "gelosia istituzionale" che mal si concilia con la missione della funzione pubblica.
Dobbiamo dirlo con chiarezza: manca una vera politica di coordinamento delle attività tra amministrazioni, che spesso si sovrappongono nelle competenze in modo disordinato e inefficiente. L’interoperabilità non è solo una questione tecnologica o infrastrutturale: è innanzitutto un tema organizzativo e istituzionale. È giunto il momento di avviare una verifica sistematica delle competenze e delle attribuzioni tra i diversi centri di gestione, con l’obiettivo di superare frammentazioni e duplicazioni e di costruire una PA realmente integrata, in grado di scambiare e valorizzare i dati in modo affidabile, responsabile e orientato al servizio del cittadino.»
Dalla Teoria alla Pratica: Priorità Strategiche e il Prossimo Passo per l'AI nella PA
In conclusione, emerge che la vera sfida non è "comprare l'AI", ma costruire un'organizzazione capace di governarla partendo da problemi reali e misurabili. Questo ci porta alla domanda finale, per passare dalla diagnosi alla proposta.
Guardando ai prossimi tre anni, se dovesse indicare una o due aree prioritarie in cui l'applicazione dell'AI potrebbe generare i benefici più grandi e tangibili sia per i cittadini che per i lavoratori pubblici, quali sceglierebbe? E quale sarebbe il primo, singolo passo più importante che il Governo e le parti sociali dovrebbero compiere insieme per avviare questo percorso in modo strategico?
«Nei prossimi tre anni, due ambiti in particolare potrebbero trarre grandi benefici dall’applicazione dell’AI: la semplificazione amministrativa e l’analisi predittiva dei bisogni. Automatizzare processi ripetitivi permetterebbe di liberare risorse umane per attività a più alto valore aggiunto. Nella sanità pubblica, l’AI può contribuire a personalizzare cure e follow-up. In ambito fiscale e previdenziale, può potenziare il contrasto a frodi, evasione e lavoro irregolare. Anche la protezione civile può trarre vantaggio da strumenti predittivi applicati alla gestione del rischio. Senza dimenticare le applicazioni nel campo della prevenzione degli infortuni sul lavoro.
Il primo passo essenziale è un patto strategico tra Governo e parti sociali, che definisca un'agenda condivisa per l'introduzione dell'AI nella PA: con obiettivi chiari, risorse certe e partecipazione reale di chi il lavoro pubblico lo vive ogni giorno.»
Conclusioni: Una Prospettiva Strategica per Imprenditori e Manager
Per un imprenditore o un dirigente, analizzare le dinamiche della Pubblica Amministrazione non è un esercizio teorico, ma uno straordinario stress test strategico. Le sfide che la PA affronta su scala nazionale sono le stesse che ogni azienda, grande o piccola, incontra nel suo percorso di adozione dell'AI, ma amplificate e messe a nudo. Il dialogo con Marco Carlomagno non ci consegna un ritratto del settore pubblico, ma tre lezioni fondamentali per il settore privato.
La prima lezione è che il vero ROI dell'AI non è nell'algoritmo, ma nella reingegnerizzazione dei processi che lo precede. Il settore privato, ossessionato dalla velocità, rischia di cadere nella trappola della "burocrazia artificiale" con più facilità della PA. La lotta di quest'ultima contro procedure obsolete ci insegna che applicare l'AI a un processo inefficiente non produce efficienza, ma caos ad alta velocità. L'investimento più redditizio non è nella licenza del software, ma nel tempo dedicato a ripensare i flussi di lavoro con il proprio team.
La seconda lezione riguarda il costo nascosto della dipendenza tecnologica. Mentre un'azienda valuta il costo di acquisto di una soluzione, la PA è costretta a ragionare in termini di "sovranità digitale". Questa non è una questione astratta. Per un'impresa, significa chiedersi: "Stiamo affidando il cervello della nostra azienda a un fornitore esterno? Cosa succede se domani aumenta i prezzi del 300%, cambia le condizioni o fallisce?". La scelta di una tecnologia AI non è una decisione da reparto IT, ma una scelta che riguarda la resilienza strategica e il controllo a lungo termine del proprio know-how.
Infine, la terza lezione è che il capitale umano non si compra, si costruisce e si governa. La richiesta di un "patto strategico" tra governo e parti sociali, che nel privato può suonare distante, è in realtà un modello avanzato di change management. Ignorare l'impatto umano, non coinvolgere i collaboratori e non investire in formazione continua non è solo eticamente discutibile, ma è un errore di business. Genera resistenze, rallenta l'adozione e impedisce di sfruttare appieno il potenziale della tecnologia, che si attiva solo quando le persone sono messe in condizione di usarla per compiti a più alto valore.
In definitiva, l'esperienza della PA ci dimostra che l'AI è un potente catalizzatore che costringe a porsi le domande fondamentali: come lavoriamo? Da chi dipendiamo? Come valorizziamo le nostre persone? Rispondere a queste domande è il vero lavoro strategico. La tecnologia è solo la conseguenza.
In conclusione, un ringraziamento particolare va a Giorgio Carsetti che ha reso possibile questa intervista.
FAQ - Domande Frequenti sull'Adozione Strategica dell'AI
1. Qual è il primo passo per implementare l'AI in modo strategico? Partire da un problema di business reale, misurabile e ricco di dati. Invece di chiedere "Dove posso usare l'AI?", chiediti "Qual è il mio problema più grande e costoso che l'AI potrebbe aiutare a risolvere?".
2. Cos'è la "burocrazia artificiale" e come posso evitarla nella mia azienda? È il rischio di usare l'AI per automatizzare processi vecchi e inefficienti. Per evitarla, è fondamentale analizzare e semplificare i flussi di lavoro prima di applicare qualsiasi tecnologia, coinvolgendo chi opera quotidianamente in quei processi.
3. L'intervista suggerisce di "mappare le competenze" prima di formare. Qual è il vantaggio pratico di questo approccio? Il vantaggio è l'efficienza e il ROI. Mappare le competenze esistenti evita di sprecare risorse in formazione generica. Permette di realizzare investimenti mirati per colmare gap specifici, di identificare e valorizzare talenti nascosti già presenti in azienda (risparmiando su nuove assunzioni) e di aumentare il coinvolgimento dei collaboratori.
4. Cosa significa "sovranità digitale" per la mia impresa? Significa mantenere il controllo sui tuoi dati, sulla tecnologia che usi e sulle competenze strategiche, riducendo la dipendenza da pochi fornitori esterni. È una scelta che protegge l'azienda da rischi geopolitici e dal "vendor lock-in", ovvero la dipendenza da un unico fornitore.
5. Ho davvero bisogno di un Chief AI Officer (CAIO)?Per le aziende più complesse, una figura dedicata che coordini la strategia, la governance e la gestione del rischio AI è fondamentale per superare i silos e garantire una visione unitaria ed efficace.
6. Come posso calcolare il ROI di un progetto di Intelligenza Artificiale? Il ROI si calcola non solo in termini di costi diretti risparmiati (es. tempo di lavoro automatizzato), ma anche di benefici indiretti, come l'aumento della qualità, la riduzione degli errori, il miglioramento della soddisfazione del cliente e il valore generato da nuove intuizioni estratte dai dati.
7. È meglio "comprare" una soluzione AI pronta o "costruirla" internamente? Non c'è una risposta unica. "Comprare" è più veloce ma aumenta la dipendenza. "Costruire" (o usare soluzioni open-source) garantisce maggiore autonomia e personalizzazione, ma richiede più competenze. La scelta dipende dalla strategia a lungo termine dell'azienda.
8. Nell'articolo si parla di "patto strategico". Come si traduce questo in un'azienda privata per gestire il cambiamento con i collaboratori? Si traduce in un dialogo strutturato e trasparente. Significa creare un comitato interno sull'AI con rappresentanti di vari reparti, organizzare workshop per discutere l'impatto sui ruoli, co-progettare i percorsi formativi e stabilire canali di comunicazione chiari. L'obiettivo è governare la transizione in modo partecipato, non imporla dall'alto.
9. L'AI Act europeo si applica anche alla mia azienda? Sì. L'AI Act classifica i sistemi in base al rischio. Se la tua azienda utilizza sistemi considerati "ad alto rischio" (es. per il recruiting, la valutazione dei dipendenti, la concessione di credito), dovrà rispettare obblighi molto stringenti di trasparenza, accuratezza e supervisione umana.
10. Perché le competenze digitali di base dei miei dipendenti sono importanti per un progetto AI? Perché un'organizzazione con scarse competenze digitali fatica ad adottare nuovi strumenti e a usarli in modo critico. L'AI richiede una supervisione umana qualificata per funzionare correttamente, per valutarne i risultati e per non delegare acriticamente il pensiero strategico.