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Ipnocrazia: come l’AI può riscrivere la percezione della realtà

Il panorama culturale e tecnologico contemporaneo offre diversi segnali di quanto la realtà non sia un dato fisso, bensì l’esito di narrazioni collettive, convenzioni sociali e interpretazioni individuali che s’intrecciano in modo complesso. Nel 2025, una vicenda in apparenza editoriale – e in realtà ben più articolata – ha colpito l’opinione pubblica internazionale: la pubblicazione in Italia di un saggio attribuito al presunto filosofo cinese Jianwei Xun, intitolato Ipnocrazia. Trump, Musk e la nuova architettura della realtà.


Il libro ha ricevuto recensioni su testate di primo piano e ha perfino ottenuto citazioni in articoli di ampio respiro, suscitando dibattiti su come, nell’era digitale, alcuni leader possano influenzare l’immaginario collettivo con forme d’ipnosi mediatica. La sorpresa arriva però il 4 aprile 2025, quando la rivista L’Espresso rivela che Jianwei Xun non esiste affatto: la sua identità è frutto di un progetto concepito da un gruppo di autori italiani in collaborazione con algoritmi di intelligenza artificiale, un passaggio chiave per comprendere come l’Ipnocrazia possa imporsi nel dibattito pubblico.


L’obiettivo? Mettere alla prova la capacità di un testo, sostenuto da un’identità fittizia, di imporsi come autorevole e “reale” a un pubblico abituato a consumare contenuti in modo rapido e spesso poco critico. L’esperimento ha aperto una riflessione sull’impatto della tecnologia e sui meccanismi che rendono credibile una narrazione. È davvero una novità oppure siamo di fronte all’ennesima conferma che gli esseri umani, da sempre, creano e alimentano mondi simbolici e immaginari collettivi?


A uno sguardo più ampio, questa vicenda s’intreccia con idee antiche – dall’“allegoria della caverna” di Platone fino alle teorie sulla “società dello spettacolo” di Guy Debord – e con il dibattito contemporaneo su post-verità e manipolazione dell’informazione. Eppure, c’è un elemento di novità metodologica: l’intelligenza artificiale come partner attivo di una meta-narrazione, capace di alimentare un personaggio virtuale e farlo apparire, anche grazie alla capillare diffusione online, come un vero pensatore proveniente dal lontano Oriente.


8.       FAQ

 

Ipnocrazia
Ipnocrazia

Le radici filosofiche dell’Ipnocrazia tra Platone e Baudrillard

L’idea di una realtà “costruita”, in cui il potere si fonda su narrazioni collettive, non è nuova. Dalle religioni agli imperi politici, dalle grandi ideologie ai miti letterari, la storia pullula di costruzioni simboliche che hanno avuto effetti reali sulle società e sui singoli individui. Filosofi come Jean Baudrillard o sociologi come Guy Debord hanno più volte sottolineato come il confine tra verità e rappresentazione tenda a sfumare, soprattutto quando le narrazioni sono sostenute da reti complesse di media e istituzioni.


Ciò che distingue il caso Jianwei Xun è l’uso sistematico di algoritmi di intelligenza artificiale per creare testi, concetti chiave e perfino interviste con un “autore virtuale”. Se in passato per inventare un’identità fittizia erano necessari parecchio tempo e un alto grado di coordinamento tra persone, l’AI accelera il processo e lo rende più preciso. Gli attuali modelli di generazione del linguaggio (i cosiddetti Large Language Models) possono redigere testi di grande coerenza, tanto da trarre in inganno non solo il lettore comune, ma anche giornalisti e studiosi.


Sul piano sociologico, la velocità di diffusione permessa dai media digitali completa il quadro. Un’identità fittizia può approdare sui social network, in conferenze stampa virtuali, in articoli d’approfondimento firmati da redazioni in cerca di novità. Questa “espansione in tempo reale” fa sì che i processi di verifica diventino estremamente difficili, soprattutto quando la notizia risuona con tendenze o paure condivise.


Narrazione e potere: come l’Ipnocrazia influenza la realtà sociale

Al di là della dimensione tecnologica, vale la pena ricordare quanto la realtà – in senso percettivo e cognitivo – sia il prodotto di un’elaborazione costante da parte del nostro cervello. Filosofi come Immanuel Kant hanno sottolineato l’esistenza di “categorie innate” attraverso cui interpretiamo il mondo, mentre le neuroscienze contemporanee suggeriscono che il cervello costruisce attivamente la nostra esperienza, selezionando e organizzando gli input sensoriali.


Colori, suoni, forme: non esistono come entità “pure” nella realtà esterna, ma nascono da meccanismi neurobiologici e convenzioni culturali che ci aiutano a dare ordine all’ambiente. In questo senso, la “realtà oggettiva” è già un compromesso tra i nostri sensi, i nostri processi interpretativi e le narrative sociali con cui cresciamo.


Se pensiamo a una società che si forma continuamente l’idea di ciò che è “vero” o “falso” attraverso la comunicazione, diventa evidente come la realtà sociale sia sempre un tessuto narrativo di significati condivisi. Da qui l’interesse per la “Ipnocrazia” di cui parla il libro, che ipotizza un potere fondato non tanto sul possesso di mezzi di produzione (come in passato) ma sul possesso delle menti, ossia la capacità di modulare i desideri e riscrivere aspettative collettive.


Ipnocrazia e AI: i meccanismi cognitivi dietro la costruzione del reale

Nell’era digitale, l’intelligenza artificiale agisce come un catalizzatore di questi processi. Pur non possedendo una coscienza simile a quella umana, l’AI riesce a replicare meccanismi di elaborazione del linguaggio, individuando pattern e strutture logiche all’interno di immense quantità di dati. Il risultato sono testi, immagini e video che ricalcano lo stile e i contenuti di un essere umano, a volte in modo indistinguibile.


Un esempio significativo è il cosiddetto “placebo narrativo”, in cui una storia inventata – ma creduta credibile – ha effetti reali sugli individui che la recepiscono. Nel progetto Jianwei Xun, il libro Ipnocrazia è stato in grado di “attivare” determinate riflessioni sulle dinamiche di potere e di percezione, inducendo vari lettori a rivedere le proprie convinzioni sull’uso dei media e sulla presenza di figure carismatiche come Elon Musk o Donald Trump. Il fatto che buona parte del testo fosse costruita dall’AI, e che l’autore fosse inesistente, non ha ridotto l’impatto mediatico: ciò dimostra quanto la mente umana, quando trova una narrazione plausibile, possa reagire ad essa come se fosse un dato di realtà.


L’Ipnocrazia nell’era digitale: riflessioni su identità e manipolazione collettiva

Nell’era digitale, l’idea di “Ipnocrazia” si manifesta con particolare evidenza, suggerendo un mutamento profondo nel modo in cui percepiamo l’autorità, costruiamo identità online e ci lasciamo influenzare dalle grandi narrazioni di massa. Per rendersene conto è sufficiente ricordare come, di fronte a istruzioni fornite da un “grande esperto”, si tenda a nutrire un’attenzione e una fiducia quasi automatiche. Tale meccanismo psicologico è simile a quello del placebo, poiché il cervello reagisce al potere dell’idea di competenza, inducendo effetti reali, come una maggiore costanza nel perseguire obiettivi personali o una concentrazione più intensa.


All'interno dello stesso scenario si colloca la costruzione delle identità digitali, un processo che numerosi influencer proseguono con disinvoltura, facendo uso di filtri e testi prodotti dall’intelligenza artificiale. In questo modo nasce una figura ibrida, un avatar che non corrisponde più in tutto e per tutto alla persona fisica, e che tuttavia diventa il fulcro dell’attenzione del pubblico. Nel caso di Jianwei Xun, questa sovrapposizione si è spinta agli estremi, riducendo la presenza reale del soggetto a zero e affidando quasi completamente la sua esistenza a una strategia di promozione editoriale abilmente orchestrata.


La politica non resta a guardare. In un contesto dove l’analisi dei dati consente di identificare con estrema precisione gusti e paure dell’elettorato, le campagne elettorali mirano a creare storie “su misura”, capaci di agganciare i bias cognitivi di ogni gruppo sociale. Il risultato è una percezione collettiva profondamente condizionata da narrazioni cucite addosso, in grado di modulare le priorità dell’agenda pubblica e di riscrivere, almeno in parte, la percezione della realtà.


Per cercare di distinguere il reale dalle sovrastrutture generate dal marketing e dall’intelligenza artificiale, alcune scuole e università iniziano a sperimentare programmi incentrati sulla lettura critica delle fonti. Ecco allora che l’esperimento Xun assume un valore esemplificativo: un testo fittizio, se ben confezionato, può ingannare anche gli osservatori più esperti, qualora manchino strumenti di indagine adeguati. Questo spiega perché, di fronte all’imponente produzione di contenuti generati da AI, stiano emergendo le prime forme di certificazione e watermarking, tentativi di tenere traccia della genesi di un testo o di un’immagine. Eppure, la velocità con cui le informazioni si diffondono sui social e sui blog rende difficile garantire un reale controllo sul flusso di notizie, come dimostra l’efficacia con cui l’operazione dedicata a Jianwei Xun è stata portata avanti.


Non meno importante è il modo in cui il lettore, o il fruitore, diventa co-autore dell’opera. Accettando un personaggio o una narrazione, infatti, egli contribuisce a rafforzarne l’esistenza. Soprattutto online, dove il consenso si misura in numeri e condivisioni, la credibilità di un’entità fittizia aumenta in modo proporzionale alle interazioni che riesce a suscitare, e il confine tra autenticità e falsificazione finisce per confondersi.


Tutto ciò solleva interrogativi che spaziano dalla psicologia alla filosofia, dalla sociologia all’informatica. Come gestire il costante flusso di contenuti generati dall’intelligenza artificiale, senza cadere vittime di manipolazioni cognitive? E come preservare, allo stesso tempo, le potenzialità creative che la tecnologia offre? Si tratta in primo luogo di una sfida educativa, centrata sulla necessità di formare competenze in grado di decodificare e interpretare la complessità dei messaggi digitali, per non soccombere al loro fascino ipnotico.


Oltre il Test di Turing: quando l’Ipnocrazia supera la finzione

Il Test di Turing, concepito a metà del secolo scorso, stabiliva che, se una macchina fosse stata in grado di sostenere una conversazione indistinguibile da quella di un essere umano, avremmo potuto considerarla “intelligente” da un punto di vista funzionale. Oggi, la sfida si è complicata: non basta più distinguere tra testo umano e testo generato da un algoritmo, perché i sistemi di AI attuali producono interi blocchi narrativi coerenti, strutture concettuali e identità persuasive.


L’esperimento Jianwei Xun sembra spingersi oltre il Test di Turing: non si tratta di una semplice chat con un robot, ma di un autore fantasma completo di biografia, idee e stile letterario. È come se l’AI, guidata da creativi in carne e ossa, fosse riuscita a insediarsi nei circuiti della cultura mainstream, contribuendo a plasmare articoli, interviste e reazioni in vari contesti editoriali. In tal modo, la linea di demarcazione tra “pensiero umano” e “pensiero simulato” appare ancora più difficile da rintracciare, almeno finché non emergono prove evidenti di manipolazione.


Autenticità in crisi? L’impatto dell’Ipnocrazia sull’informazione

La domanda che sorge spontanea è: se le narrazioni generate dall’AI imitano i processi interpretativi tipici degli umani, esiste ancora una “realtà autentica” a cui fare riferimento? Oppure l’idea stessa di autenticità risulta superata, soppiantata da un fluire incessante di rappresentazioni e simulazioni?


Per alcuni filosofi contemporanei, la realtà resta una costruzione intersoggettiva: acquista validità quando è accettata e condivisa da un numero sufficiente di persone. L’autenticità, in quest’ottica, diviene più un criterio etico e relazionale che ontologico. Per altri, invece, il rischio è di cadere in un relativismo totale, dove ogni narrazione – per quanto artificiale – può ergersi a verità purché adeguatamente supportata da apparati mediatici.


Questo ci conduce a questioni di responsabilità: chi progetta e diffonde contenuti con l’AI, con quali finalità opera? L’etica della comunicazione diventa cruciale, così come la necessità di educare le masse a un uso consapevole degli strumenti digitali. L’ingegno umano rimane infatti al centro della storia: è l’uomo che decide l’input fornito all’AI, è l’uomo che stabilisce l’agenda, definisce ciò che è prioritario raccontare, sostiene o smentisce la validità di un testo.


Conclusioni: l’Ipnocrazia come sfida e opportunità nell’uso dell’AI

La vicenda di Jianwei Xun – svelata come un sorprendente progetto artistico-filosofico basato su una meta-narrazione fittizia – fornisce la conferma pragmatica che la realtà, in larga misura, s’appoggia su meccanismi narrativi e interpretativi. Il successo dell’esperimento ha rivelato un mondo editoriale e mediatico capace di legittimare un’idea, persino un autore inesistente, se questa appare in linea con le aspettative culturali del momento e con uno stile credibile.


L’intelligenza artificiale, in questa cornice, funge da moltiplicatore di possibilità: consente di generare testi articolati in tempi rapidi, di simulare competenze e prospettive, di innestare identità virtuali in un dibattito reale. Il tutto con un impatto che dipende, in ultima analisi, dall’uso che ne fanno gli esseri umani.


La lezione è duplice. Da una parte, sottolinea la straordinaria “malleabilità” della realtà sociale, basata su narrazioni che si affermano se riescono a ottenere l’attenzione e il consenso delle persone. Dall’altra, evidenzia la necessità di una padronanza critica di questi strumenti: senza un’adeguata consapevolezza e responsabilità, l’AI può diventare un vettore di manipolazioni su larga scala. Al contrario, se guidata da intenti costruttivi, può diventare un alleato per migliorare il nostro pensiero, esplorare scenari futuri, simulare soluzioni creative a problemi complessi: è in questo scenario che l’Ipnocrazia trova terreno fertile, rivelandosi un fenomeno di ampia portata.


In definitiva, il cervello umano – con la sua plasticità e la sua capacità di interpretare il mondo – rimane la chiave di volta: l’AI non fa che potenziare o intensificare processi antichi quanto l’umanità stessa, offrendoci un’occasione di riflessione su come costruiamo la realtà e su come possiamo orientarla verso prospettive inclusive e arricchenti, anziché cadere vittime di manipolazioni. Da questo punto di vista, l’esperimento Jianwei Xun apre uno scenario affascinante: non tanto per l’originalità filosofica, quanto per la concretezza delle implicazioni culturali e sociali. In un’epoca di contenuti generati in modo automatico, la posta in gioco non è solo la verità dei fatti, ma la qualità stessa del nostro immaginario collettivo.


FAQ

  1. Che cos’è l’Ipnocrazia?

    L’Ipnocrazia è un concetto che descrive un potere fondato principalmente sulla capacità di influenzare le percezioni collettive, attraverso narrazioni convincenti e strategie comunicative ipnotiche. Nel contesto del progetto Jianwei Xun, l’idea è che figure carismatiche o sistemi mediatici possano “possedere le menti” più che i mezzi di produzione, modulando i desideri e le aspettative delle masse.


  2. Chi è (o chi era) Jianwei Xun?

    Jianwei Xun è un personaggio fittizio, inventato da un gruppo di autori italiani in collaborazione con l’intelligenza artificiale. Nonostante fosse privo di un’esistenza reale, è stato presentato come filosofo cinese, autore del saggio Ipnocrazia. Trump, Musk e la nuova architettura della realtà. L’obiettivo era sperimentare quanto un’identità credibile, sostenuta dall’AI e dalla risonanza mediatica, potesse affermarsi come autorevole.


  3. Perché questo esperimento è considerato significativo?

    L’operazione ha messo in luce la facilità con cui, nell’era digitale, si può creare e diffondere una narrazione credibile anche se fittizia. Ha inoltre mostrato come l’AI possa produrre contenuti articolati e persuasivi, sollevando interrogativi sulla responsabilità di chi gestisce simili tecnologie e sulla nostra capacità critica di distinguere tra realtà e finzione.


  4. Cosa s’intende per “costruzione della realtà”?

    L’idea di costruzione della realtà rimanda al fatto che ciò che chiamiamo “realtà” risulta dall’interazione tra percezioni individuali e narrative condivise. Sia la filosofia (ad esempio con Immanuel Kant) sia le neuroscienze affermano che il cervello umano interpreta attivamente ciò che ci circonda, e lo fa sulla base di categorie mentali e condizionamenti culturali. Le tecnologie digitali – e in particolare l’AI – oggi amplificano tali processi, producendo “verità” che possono sedimentarsi in modo rapidissimo nel dibattito pubblico.


  5. In che modo l’intelligenza artificiale potenzia la creazione di queste narrazioni?

    L’AI è in grado di generare testi, immagini e persino identità virtuali con una coerenza tale da risultare credibili agli occhi (e alle menti) di molte persone. In più, grazie alla rapidissima diffusione online, i contenuti creati dall’AI si propagano senza che ci sia tempo per un adeguato fact-checking. Questo velocizza il processo di consolidamento di una storia, anche se totalmente inventata.


  6. Quali implicazioni etiche emergono?

    L’esperimento Jianwei Xun solleva questioni importanti sulla responsabilità degli ideatori, degli editori, dei giornalisti e di chiunque diffonda informazioni. Se da un lato l’AI può essere uno strumento creativo e persino educativo, dall’altro può alimentare manipolazioni su vasta scala se usata in modo poco trasparente. La “verifica della verità” e la formazione a un uso critico dei media diventano dunque essenziali.


  7. Perché si parla di “superamento pragmatico del Test di Turing”?

    Il Test di Turing originale prevedeva che, se una macchina avesse potuto conversare in modo indistinguibile da un essere umano, sarebbe stato da considerare “intelligente”. Il progetto Xun è andato oltre, perché non ha solo simulato un dialogo, ma ha creato un intero autore con contenuti articolati, recensioni e interviste, convincendo molte persone della sua reale esistenza. È un esempio concreto di come l’AI possa operare a livelli ben più sofisticati di una semplice chat.


  8. Cosa si può fare per proteggersi da narrazioni fittizie o manipolazioni?

    • Educazione critica: sviluppare la capacità di analizzare le fonti e di riconoscere i segnali di possibili inganni, ad esempio verificando referenze incrociate, date e contesti.

    • Trasparenza tecnologica: incoraggiare l’uso di watermarking e certificazioni per i contenuti generati da AI, al fine di risalire alla loro vera origine.

    • Responsabilità mediatica: i giornalisti e gli editori dovrebbero svolgere un lavoro accurato di fact-checking, verificando con attenzione l’identità e la storia di autori e fonti.

    • Regolamentazione etica: definire linee guida e normative che tutelino l’interesse pubblico, evitando che l’AI venga impiegata in modo strumentale per operazioni di disinformazione.


  9. Come si colloca l’esperimento Jianwei Xun nel contesto dell’arte e della filosofia?

    L’uso di meta-narrazione, personaggi inesistenti e strategie di disvelamento graduale ha precedenti nelle avanguardie artistiche e nelle beffe mediatiche del passato (come il Luther Blissett Project). Tuttavia, la componente AI spinge questa pratica a un altro livello, rendendo più complessa l’attribuzione di paternità delle opere e mostrando quanto facilmente il sistema culturale possa venire raggirato, almeno temporaneamente.


  10. Qual è la lezione principale che si ricava dall’esperimento?

    La lezione è duplice: da un lato, la realtà sociale si conferma estremamente malleabile, poiché le persone tendono a seguire narrazioni apparentemente valide e coerenti; dall’altro, diventa palese l’urgenza di coltivare un approccio vigile e critico nei confronti dei contenuti digitali. L’AI offre enormi potenzialità di creazione e innovazione, ma la responsabilità umana rimane cruciale per orientare tali tecnologie verso scopi costruttivi invece che manipolativi.

 

 

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