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Immagine del redattoreAndrea Viliotti

Innovazione e sostenibilità: Le chiavi del futuro dell'industria europea

In un contesto di sfide economiche globali, l'Europa affronta la pressante necessità di rafforzare la propria competitività per mantenere una posizione di leadership sul palcoscenico internazionale. Attraverso l'analisi della relazione "The future of European competitiveness Part A | A competitiveness strategy for Europe" redatto da Mario Draghi a settembre 2024, vengono esaminate le strategie suggerite per potenziare la competitività europea, valutandone il potenziale impatto sulle imprese del continente. Questo articolo analizza il rapporto capitolo per capitolo, con l'obiettivo di evidenziare le opportunità e le sfide che le aziende europee devono affrontare per gestire con successo l'attuale contesto economico e geopolitico, concentrandosi in particolare su produttività, innovazione tecnologica e sostenibilità ambientale.

Innovazione e sostenibilità: Le chiavi del futuro dell'industria europea
Innovazione e sostenibilità: Le chiavi del futuro dell'industria europea

Gap tecnologico e mancanza di innovazione e sostenibilità in Europa minacciano le imprese

Analizzando l’introduzione di Mario Draghi alla relazione, emergono alcune considerazioni strategiche fondamentali per il futuro delle imprese europee. In primo luogo, è evidente che "across different metrics, a wide gap in GDP has opened up between the EU and the US, driven mainly by a more pronounced slowdown in productivity growth in Europe." Questa disparità non solo implica un divario economico tra le due regioni, ma rappresenta anche una sfida diretta alla competitività delle aziende europee, che si trovano a dover operare in un contesto di crescita lenta e con un mercato del lavoro che sta per contrarsi significativamente entro il 2040.

 

Un altro aspetto critico è la debolezza dell'Europa nelle tecnologie emergenti, una lacuna evidenziata dal fatto che "only four of the world’s top 50 tech companies are European." Questa carenza di innovazione e dinamismo industriale rischia di escludere le imprese europee dai mercati più promettenti e dalle tecnologie che guideranno la crescita futura. Il problema non è la mancanza di idee, ma "we are failing to translate innovation into commercialisation," un blocco sistemico che spinge molti imprenditori europei a trasferirsi all'estero, spesso negli Stati Uniti, per trovare migliori opportunità di crescita e finanziamento.

 

La sfida più urgente per le imprese europee risiede nella necessità di colmare il gap di innovazione con gli Stati Uniti e la Cina. La struttura industriale europea è troppo statica, con poche nuove aziende capaci di sconvolgere i settori esistenti o creare nuovi motori di crescita. Come evidenziato, "there is no EU company with a market capitalisation over EUR 100 billion that has been set up from scratch in the last fifty years," mentre negli Stati Uniti, nello stesso periodo, sono nate tutte le aziende che oggi hanno una valutazione superiore a EUR 1 trilione. La mancanza di dinamismo è un circolo vizioso che limita gli investimenti in ricerca e sviluppo, rendendo l'Europa meno competitiva nei settori più avanzati.

 

Un'altra area critica riguarda la decarbonizzazione, che potrebbe rappresentare sia un'opportunità che una minaccia per la competitività europea. Nonostante l'Europa sia leader in tecnologie pulite, "Chinese competition is becoming acute in industries like clean tech and electric vehicles," una competizione che potrebbe mettere sotto pressione le industrie europee se non si sviluppa una strategia congiunta che integri le politiche industriali e commerciali. Senza un piano coerente, il rischio è che i costi energetici elevati continuino a pesare sulla crescita, rendendo le aziende europee meno competitive a livello globale.

 

Infine, la sicurezza e la riduzione delle dipendenze rappresentano un'altra priorità strategica. L'Europa è vulnerabile a causa delle sue dipendenze in settori critici, come la tecnologia digitale e le materie prime essenziali, specialmente dalla Cina. "For chips production, 75-90% of global wafer fabrication capacity is in Asia," una concentrazione che espone l'Europa a rischi significativi in caso di tensioni geopolitiche o interruzioni delle forniture. Per mitigare questi rischi, il rapporto suggerisce la necessità di sviluppare una "genuine EU ‘foreign economic policy’ to retain our freedom," una politica che coordini accordi commerciali preferenziali, investimenti diretti e partnership industriali per garantire catene di approvvigionamento sicure.

 

La capacità dell'Europa di affrontare queste sfide dipenderà dalla sua abilità di "radically change" il modo in cui supporta l'innovazione, sviluppa le competenze necessarie per le nuove tecnologie e coordina le politiche economiche e industriali a livello comunitario. Le aziende europee devono prepararsi ad operare in un contesto che richiederà maggiore flessibilità, innovazione e capacità di adattamento per sopravvivere e prosperare in un panorama globale sempre più competitivo e instabile.

 

Strategia industriale unitaria per garantire il futuro delle imprese europee

Emergono vari aspetti essenziali che definiscono il panorama competitivo dell'Europa e le sfide che questa deve affrontare per mantenere la sua posizione. L'immagine di un'Europa che unisce un'economia aperta, un alto livello di concorrenza di mercato e un solido sistema giuridico per contrastare la povertà e ridistribuire la ricchezza, mette in luce come il modello europeo sia riuscito a combinare elevati livelli di integrazione economica e sviluppo umano con bassi livelli di disuguaglianza. In particolare, si sottolinea che "Europe has built a Single Market of 440 million consumers and 23 million companies, accounting for around 17% of global GDP, while achieving rates of income inequality that are around 10 percentage points below those seen in the United States (US) and China".

 

Tuttavia, il rallentamento della crescita economica, principalmente dovuto a una crescita della produttività più debole rispetto ad altre economie avanzate come quella statunitense, mette in discussione la capacità dell'UE di realizzare le proprie ambizioni strategiche. Il divario in termini di PIL pro capite rispetto agli Stati Uniti si è ampliato nel tempo, spiegando circa il 70% di questo divario con la minore produttività dell'UE. Questo rallentamento ha avuto conseguenze su redditi e domanda interna, con il reddito disponibile reale pro capite che è cresciuto quasi il doppio negli Stati Uniti rispetto all'UE dal 2000. L'analisi dei fattori esterni rivela che "three external conditions – in trade, energy and defence – that supported growth in Europe after the end of the Cold War have been fading". Il calo della crescita del commercio mondiale, la fine delle forniture energetiche a basso costo dalla Russia e il mutamento dello scenario geopolitico globale rappresentano sfide significative per l'economia europea.

 

In questo contesto, l'attenzione dell'Europa deve spostarsi verso il rafforzamento della propria competitività, che non va intesa in senso limitato come una competizione per quote di mercato globali o surplus commerciali. "Competitiveness today is less about relative labour costs and more about knowledge and skills embodied in the labour force". Questo sottolinea l'importanza di investire in competenze e conoscenze per stimolare la crescita della produttività, un elemento essenziale per il miglioramento dei livelli di vita a lungo termine.

 

Le implicazioni per le imprese europee sono chiare: in un contesto globale sempre più competitivo e instabile, la capacità di innovare e di sfruttare al meglio il capitale umano diventa cruciale. Non si tratta più solo di competere sui costi, ma di distinguersi per qualità, innovazione e sostenibilità. Ad esempio, il passaggio a un'economia circolare e le ambiziose politiche di decarbonizzazione dell'UE offrono opportunità uniche per le aziende che sono in grado di adattarsi e guidare questo cambiamento. Allo stesso tempo, la necessità di un "level playing field" indica che le aziende europee devono poter competere in condizioni eque a livello globale, soprattutto di fronte a sussidi esteri e asimmetrie regolatorie che possono distorcere il mercato.

 

In sintesi, per le imprese europee, la chiave del successo risiede nella capacità di affrontare queste sfide con una strategia che valorizzi le competenze, l'innovazione e la sostenibilità, mantenendo al contempo un occhio attento ai mutamenti geopolitici che potrebbero impattare sulle loro operazioni.

 

Rafforzare l'autonomia strategica dell'Europa tra innovazione e geopolitica

Analizzando i cambiamenti che l'Europa deve affrontare, emergono tre trasformazioni chiave che influenzeranno il futuro economico del continente. Il primo cambiamento riguarda l'urgente necessità di accelerare l'innovazione e identificare nuovi motori di crescita. L'UE sta affrontando una competizione sempre più pressante, con una domanda estera indebolita, specialmente dalla Cina, e una crescente pressione competitiva dalle aziende cinesi. È significativo notare come "the share of sectors in which China is directly competing with the euro area exporters is now close to 40%, up from 25% in 2002". Questo dato evidenzia una sfida critica per le imprese europee, aggravata dal calo della quota dell'UE nel commercio mondiale, accentuato dalla pandemia. Il declino della posizione dell'Europa nelle tecnologie avanzate è altrettanto preoccupante: "from 2013 to 2023, its share of global tech revenues dropped from 22% to 18%, while the US share rose from 30% to 38%". Per le imprese europee, ciò implica non solo una perdita di competitività globale ma anche una ridotta capacità di leadership nel settore tecnologico, con implicazioni dirette sulla produttività e sulla crescita dei redditi familiari.

 

Il secondo cambiamento riguarda l'energia, dove l'Europa deve ridurre i prezzi elevati e allo stesso tempo proseguire la decarbonizzazione e la transizione verso un'economia circolare. Gli effetti dell'invasione russa dell'Ucraina hanno evidenziato la vulnerabilità dell'Europa alle fluttuazioni dei prezzi energetici, con costi che rimangono significativamente più alti rispetto ad altre regioni: "EU companies still face electricity prices that are 2-3 times those in the US and natural gas prices paid are 4-5 times higher". Questa differenza rappresenta un peso competitivo significativo per le industrie europee, specialmente quelle ad alta intensità energetica, e sottolinea l'importanza di una transizione energetica coordinata e di una strategia coerente per sfruttare le opportunità della decarbonizzazione. Tuttavia, la competizione con la Cina in settori chiave per la decarbonizzazione, come le tecnologie pulite e i veicoli elettrici, sta diventando particolarmente acuta, alimentata da "massive industrial policy, rapid innovation, control of raw materials and the ability to produce at continent-wide scale".

 

Il terzo cambiamento riguarda la necessità per l'Europa di adattarsi a un contesto geopolitico meno stabile, dove le dipendenze economiche si trasformano in vulnerabilità strategiche. Il modello di "strategic interdependence" che ha caratterizzato decenni di globalizzazione sta mutando, poiché le principali economie mondiali cercano di ridurre le loro dipendenze reciproche per aumentare l'autonomia strategica. Gli Stati Uniti stanno investendo nella capacità domestica per la produzione di semiconduttori e tecnologie pulite, mentre la Cina persegue una "technological autarchy and vertical supply chain integration". Per l'Europa, altamente esposta a queste dinamiche a causa della sua elevata apertura commerciale, la risposta dovrà includere una maggiore indipendenza strategica, specialmente nel settore della difesa, dove l'attuale spesa aggregata è solo un terzo di quella degli Stati Uniti. Inoltre, "the European defence industry is suffering from decades of underinvestment and depleted stocks", un chiaro segnale della necessità di ristrutturare e potenziare la capacità di difesa europea.

 

Il problema principale che l'Europa deve affrontare in questo contesto è la mancanza di coordinamento tra gli Stati membri e le politiche industriali. La frammentazione nelle politiche nazionali, nei meccanismi di finanziamento e nelle strategie politiche ostacola l'efficacia collettiva dell'UE. Ad esempio, "uncoordinated national policies often lead to considerable duplication, incompatible standards and failure to consider externalities", con impatti negativi sul Mercato Unico. Per competere efficacemente su scala globale, l'Europa deve migliorare la sinergia tra le politiche nazionali e quelle dell'UE, superando la complessità della sua struttura di governance e adottando una strategia più integrata e reattiva.

 

Verso un'industria Europea più competitiva e sostenibile

Dall'analisi dei punti chiave del rapporto Draghi emergono tre linee d'azione essenziali per definire una nuova strategia industriale europea, ognuna delle quali risponde alle principali trasformazioni con cui l'Europa deve fare i conti. In primo luogo, "Europe needs to redress its slowing productivity growth by closing the innovation gap." Questo implica la necessità di accelerare l'innovazione tecnologica e scientifica, migliorare la transizione dall'innovazione alla commercializzazione, eliminare le barriere che frenano la crescita delle aziende innovative e affrontare il divario di competenze. Questo punto è cruciale per le imprese che vogliono mantenere competitività a livello globale, specialmente in un contesto dove l'innovazione diventa un fattore discriminante per il successo. La sfida non è solo tecnologica, ma anche culturale e strutturale: le aziende devono ripensare il loro approccio all'innovazione non solo come un reparto di R&D isolato ma come una componente integrata nella strategia aziendale, supportata da politiche pubbliche che favoriscano il trasferimento tecnologico e l'accesso ai finanziamenti.

 

In secondo luogo, il report evidenzia la necessità di "a joint plan for decarbonisation and competitiveness." Questo non solo per ridurre i costi energetici, ma anche per posizionare l'Europa come leader nelle tecnologie per la decarbonizzazione. Per le imprese, questo significa un'opportunità di crescita, ma richiede investimenti significativi in tecnologie verdi e una trasformazione dei processi produttivi, specialmente per le industrie ad alta intensità energetica e difficili da decarbonizzare. Aziende nel settore automotive o delle energie rinnovabili, ad esempio, possono trarre vantaggio da questa trasformazione, ma solo se sono pronte a adattarsi rapidamente alle nuove dinamiche del mercato e a contribuire attivamente allo sviluppo di tecnologie pulite. Inoltre, le imprese devono collaborare con le istituzioni per garantire che le normative supportino un quadro competitivo equo e incentivante.

 

Infine, il report sottolinea che "Europe needs to increase security and reduce dependencies," un'area che riguarda direttamente la resilienza delle catene di approvvigionamento. In un contesto di crescente instabilità geopolitica, l'indipendenza economica diventa un asset strategico. Le imprese devono considerare non solo la diversificazione delle fonti di approvvigionamento, ma anche investire in partenariati industriali e nella creazione di scorte di materiali critici. Questo approccio non solo mitiga i rischi legati alle interruzioni delle forniture, ma può anche aprire nuove opportunità di mercato collaborando con partner strategici a livello globale. L'attenzione su una "foreign economic policy" più coordinata e proattiva potrebbe tradursi in accordi commerciali più vantaggiosi per le imprese europee, ma richiede una visione di lungo termine e una capacità di adattamento ai cambiamenti rapidi del contesto internazionale.

 

Questi tre punti rappresentano un quadro strategico che, se implementato con efficacia, potrebbe trasformare radicalmente il panorama industriale europeo, rendendolo non solo più competitivo, ma anche più sostenibile e sicuro. Per le imprese, il messaggio è chiaro: è il momento di ridefinire le proprie strategie in linea con questi imperativi, investendo in innovazione, sostenibilità e resilienza.

 

Governance dell'UE e mercato unico: Come migliorare la competitività e ridurre la burocrazia

Esaminando la strategia industriale dell'UE proposta da Draghi, emergono alcuni elementi chiave che richiedono un'attenta riflessione. Il primo blocco riguarda la piena implementazione del Mercato Unico, che viene definito come "critical for all aspects of the strategy" poiché facilita la scala necessaria per le imprese innovative, rafforza i mercati energetici e di trasporto integrati, e supporta la domanda per soluzioni di decarbonizzazione. Questa integrazione non solo stimola l'innovazione e la competitività, ma potrebbe incrementare significativamente il PIL dell'UE, che attualmente lascia circa "10% of potential GDP on the table" a causa delle frizioni commerciali.

 

Un altro aspetto cruciale è l'allineamento delle politiche industriali, di concorrenza e commerciali, che devono essere coordinate per evitare errori del passato come la difesa di imprese obsolete o la scelta di "vincitori". È essenziale, infatti, che queste politiche siano orientate ai settori piuttosto che alle singole aziende e che ci sia un monitoraggio continuo per evitare inefficienze. In questo contesto, le politiche di concorrenza devono adattarsi rapidamente ai cambiamenti economici per non diventare un ostacolo, specialmente nel settore tecnologico dove le fusioni e acquisizioni richiedono valutazioni che considerino il "future innovation potential".

 

Il terzo blocco si concentra sul finanziamento delle aree d'azione principali, che richiederanno "massive investment needs unseen for half a century in Europe", paragonabili agli investimenti del Piano Marshall ma in misura molto maggiore, arrivando fino al 5% del PIL dell'UE annuo. Questo significa che l'integrazione dei mercati dei capitali europei diventa fondamentale per canalizzare i risparmi privati verso investimenti produttivi e, di conseguenza, è necessario un aumento della produttività che potrebbe coprire "up to one third of the required fiscal spending". Qui, la capacità dell'UE di riformarsi internamente è direttamente collegata alla sua abilità di sostenere questa spinta agli investimenti, evidenziando l'importanza di un coordinamento più profondo e di un approccio pragmatico.

 

L'ultimo blocco evidenzia la necessità di riformare la governance dell'UE, riducendo il carico normativo che è percepito da oltre "60% of EU companies" come un ostacolo all'investimento, con il 55% delle PMI che identifica la burocrazia come il loro problema principale. Questo richiede un nuovo approccio alla partnership europea, che dovrebbe andare oltre il metodo comunitario tradizionale, per rispondere a un contesto geopolitico ed economico radicalmente mutato rispetto al passato. Una maggiore flessibilità istituzionale, unita a un uso più rigoroso del principio di sussidiarietà, potrebbe consentire agli Stati membri che vogliono avanzare più rapidamente di farlo senza necessità immediata di modifiche al Trattato.

 

Per le imprese, questo scenario presenta sia sfide che opportunità. Da un lato, la promessa di un Mercato Unico più integrato e la riduzione degli ostacoli normativi possono rappresentare un volano per l'innovazione e l'espansione; dall'altro, la necessità di contribuire a finanziamenti comuni per beni pubblici europei, come l'innovazione dirompente o la difesa, potrebbe richiedere un adattamento strategico significativo. La chiave per navigare in questo panorama sarà un approccio strategico che valorizzi le opportunità di scala e competizione fornite da un Mercato Unico più robusto, bilanciando al contempo i costi e le risorse necessarie per sostenere il percorso di investimento richiesto per mantenere la competitività globale.

 

Strategie dell'UE per una crescita inclusiva e sostenibile

La relazione evidenzia come l'Unione Europea debba perseguire la crescita della produttività e dell'innovazione senza incorrere nelle stesse disuguaglianze sociali osservate nel modello statunitense. Infatti, "the US has pulled ahead of the EU owing to its stronger position in breakthrough technologies, yet it displays higher rates of inequality." L'Europa si trova di fronte a un periodo di trasformazioni rapide, dove l'innovazione tecnologica e i cambiamenti settoriali si combinano con una popolazione in età lavorativa in diminuzione. Questo scenario richiede di valorizzare al massimo le competenze disponibili mantenendo coeso il tessuto sociale. Per le aziende, significa operare in un contesto dove la responsabilità sociale d’impresa diventa fondamentale, poiché il cambiamento tecnologico può causare significative interruzioni per i lavoratori di settori tradizionali e accentuare le disuguaglianze, come dimostra il dato secondo cui "automation is found to have accounted for 50-70% of the increase in wage inequality in the US between more and less educated workers."

 

L'Unione Europea dovrà quindi rafforzare il welfare state per garantire servizi pubblici di qualità, protezione sociale e accesso a servizi essenziali durante questa transizione. Parallelamente, un nuovo approccio alle competenze diventa cruciale: tutti i lavoratori dovrebbero avere "a right to education and retraining," per facilitare il loro passaggio a nuovi ruoli o a settori emergenti. Questo non è solo un imperativo sociale ma anche un'opportunità economica, poiché una forza lavoro più qualificata e adattabile può essere un vantaggio competitivo per le imprese. Investire in programmi di riqualificazione e aggiornamento professionale diventa quindi non solo una questione di compliance con le direttive europee, ma una strategia aziendale per sostenere la crescita a lungo termine.

 

Inoltre, il documento sottolinea che la coesione territoriale deve allinearsi con l'innovazione e l'integrazione del mercato unico, in un contesto dove la crescita dei servizi tende a concentrarsi nelle grandi città e "innovation and its benefits also tend to agglomerate in a few metropolitan areas." Per evitare che solo alcune aree beneficino delle nuove opportunità economiche, l'UE dovrà aggiornare le sue politiche di coesione per includere investimenti in settori come l'istruzione, la connettività digitale, i trasporti e la pianificazione urbana, rendendo attrattive una gamma più ampia di città e regioni. Ciò implica per le aziende la possibilità di diversificare le loro sedi operative, sfruttando incentivi locali e riducendo i rischi legati alla concentrazione geografica.

 

Il monito finale del documento è chiaro: l'Europa deve imparare dagli errori commessi durante la fase di "iper-globalizzazione" e prepararsi per un futuro in rapida evoluzione. Nonostante i benefici economici della globalizzazione, "policymakers were arguably too insensitive to its perceived social consequences," con un impatto negativo percepito sui redditi da lavoro. Per le imprese, questo suggerisce l'importanza di un dialogo sociale più inclusivo, che coinvolga attivamente sindacati, datori di lavoro e attori della società civile. Una trasformazione economica che si accompagni a un contratto sociale forte può infatti garantire che la prosperità sia condivisa. Le aziende devono quindi essere non solo spettatrici, ma attori proattivi nel plasmare un nuovo modello di crescita inclusiva, dove l'innovazione e la competitività vanno di pari passo con l'equità sociale.

 

Colmare il divario di innovazione per la competitività delle imprese europee

Analizzando la sfida della produttività europea, emergono alcuni passaggi chiave di particolare rilevanza per le imprese. In primo luogo, "EU labour productivity converged from 22% of the US level in 1945 to 95% in 1995 but labour productivity growth has subsequently slowed by more than in the US and fallen back below 80% of the US level." Questo dato evidenzia come l'Europa abbia perso terreno rispetto agli Stati Uniti, un divario che si è allargato principalmente a causa della mancata adozione delle prime ondate di innovazione digitale. Questo rallentamento nella produttività è particolarmente preoccupante se si considera che "By 2040, the EU’s workforce is projected to shrink by close to 2 million workers each year, while the ratio of working to retired people is expected to fall from around 3:1 to 2:1."

 

Per le imprese europee, questo contesto richiede un approccio strategico all'integrazione delle nuove tecnologie per contrastare la stagnazione economica. Il divario tecnologico con gli Stati Uniti è amplificato dal dominio delle aziende americane nel cloud computing e nell'intelligenza artificiale: "Around 70% of foundational AI models have been developed in the US since 2017 and just three US “hyperscalers” account for over 65% of the global as well as of the European cloud market." Questo monopolio rende difficile per le imprese europee competere su scala globale, soprattutto in un settore in cui la capacità di innovare rapidamente e scalare le tecnologie è cruciale.

 

Nonostante alcune aree digitali siano già "perdute" ci sono ancora opportunità per capitalizzare sulle future ondate di innovazione digitale, in particolare nei settori dove l'Europa mantiene una posizione forte, come l'automazione e l'intelligenza artificiale applicata ai servizi. Ad esempio, il settore automotive europeo potrebbe trarre significativi benefici dall'AI: "AI-powered (generative) algorithms enhance vehicle design by optimising structures and components, improve performance and reduce material use, and optimise supply chains by predicting demand and streamlining logistics operations." Per le aziende del settore, l'adozione di queste tecnologie non è solo un'opzione, ma una necessità per mantenere la competitività.

 

Inoltre, è fondamentale che le imprese europee investano non solo in tecnologie, ma anche nello sviluppo delle competenze della forza lavoro. L'adozione dell'AI potrebbe potenzialmente minacciare l'inclusione sociale se non accompagnata da un adeguato reskilling: "Providing workers with adequate skills and training to make use of AI can nevertheless help to make the benefits of AI more inclusive." L'investimento in formazione continua potrebbe trasformarsi in un vantaggio competitivo per le imprese europee, permettendo loro di non solo adottare tecnologie avanzate, ma anche di garantire che queste tecnologie migliorino le condizioni di lavoro e la produttività.

 

Per le imprese, l'imperativo è quindi duplice: abbracciare l'innovazione tecnologica con un approccio mirato a colmare le lacune attuali e parallelamente rafforzare le capacità dei propri dipendenti per trarre pieno vantaggio dalle nuove tecnologie. In questo contesto, l'Europa deve puntare non solo a competere con gli Stati Uniti sul fronte dell'innovazione, ma a superarla nell'offerta di opportunità di apprendimento e crescita per la forza lavoro. Solo così sarà possibile sostenere la crescita economica in un panorama demografico e tecnologico sempre più complesso.

 

Innovazione in Europa: come superare le sfide strutturali e recuperare competitività

Analizzando i passaggi chiave del capitolo sul gap d'innovazione in Europa, emergono vari elementi che delineano un quadro complesso ma essenziale per le imprese europee che intendono mantenere la competitività globale. "Europe’s lack of industrial dynamism owes in large part to weaknesses along the 'innovation lifecycle' that prevent new sectors and challengers from emerging." Questo fenomeno, noto come "middle technology trap", rappresenta un circolo vizioso di basso dinamismo industriale, scarsa innovazione, investimenti limitati e crescita della produttività ridotta. A differenza degli Stati Uniti, dove l'investimento si è progressivamente spostato verso settori digitali e tecnologici ad alto potenziale, in Europa si nota una predominanza di investimenti in settori tradizionali, come quello automobilistico, che continuano a dominare la scena delle spese in R&I.

 

Il nodo critico risiede nell'incapacità di trasformare la forte posizione europea nella ricerca fondamentale in vantaggi commerciali concreti. Anche se "Europe has a strong position in fundamental research and patenting," gran parte di queste invenzioni rimane in gran parte inapplicata commercialmente. L'integrazione insufficiente dei ricercatori in cluster d'innovazione che includano università, startup, grandi aziende e venture capital rappresenta una delle cause principali. Infatti, la mancanza di "innovation clusters" europei nella top 10 globale è sintomatica di un ecosistema meno dinamico rispetto a quello statunitense o cinese.

 

La frammentazione del mercato unico europeo ostacola ulteriormente la crescita delle imprese innovative, riducendo la domanda di finanziamenti e limitando le possibilità di scalabilità. "Fragmentation of the Single Market hinders innovative companies that reach the growth stage from scaling up in the EU, which in turn reduces demand for financing." La conseguenza è che molte aziende innovative scelgono di trasferirsi negli Stati Uniti per accedere a mercati più grandi e omogenei, nonché a finanziamenti più consistenti da parte di venture capital. Questo spiega perché tra il 2008 e il 2021, 147 startup europee diventate "unicorns" abbiano spostato la loro sede oltreoceano, con una maggioranza schiacciante preferendo gli Stati Uniti.

 

Le barriere regolamentari sono particolarmente gravose per il settore tecnologico, dove "the EU’s regulatory stance towards tech companies hampers innovation" attraverso un approccio precauzionale che impone specifiche pratiche di business ex ante per evitare rischi potenziali ex post. Questo crea un ambiente meno favorevole per le giovani imprese tecnologiche europee, che potrebbero trovare i costi di conformità troppo elevati per operare efficacemente nel mercato europeo.

 

Un altro aspetto critico è la mancanza di infrastrutture all'avanguardia necessarie per abilitare la digitalizzazione dell'economia europea. "The EU is behind its 2030 Digital Decade targets for fibre and 5G deployment," e il livello di investimento pro capite è notevolmente inferiore rispetto ad altre grandi economie. Questa carenza potrebbe presto tradursi in colli di bottiglia digitali, con le aziende europee meno attrezzate per competere nella crescente corsa globale all'AI e all'informatica avanzata.

 

Infine, il declino dell'Europa in settori innovativi come il farmaceutico è emblematico delle stesse sfide di investimento insufficiente e frammentazione regolatoria che affliggono altri settori. Mentre l'UE è ancora leader globale nel commercio farmaceutico per valore, sta perdendo terreno nei segmenti di mercato più dinamici e ad alto potenziale. Con un framework regolatorio complesso e tempi di approvazione dei nuovi farmaci più lenti rispetto agli Stati Uniti, le imprese europee del settore si trovano ad affrontare sfide significative per mantenere la competitività.

 

In sintesi, per colmare il divario di innovazione e rilanciare il dinamismo industriale, l'Europa deve affrontare una serie di sfide strutturali, dalla concentrazione degli investimenti in tecnologie mature alla necessità di un mercato unico più integrato e favorevole all'innovazione. La coordinazione e il supporto a livello europeo per la R&I, insieme alla riduzione delle barriere regolamentari e all'incremento delle infrastrutture digitali, sono passi essenziali per stimolare una nuova ondata di crescita e competitività.

 

Riforma UE per innovazione e ricerca strategie per il futuro europeo

Dalla ricerca emergono alcuni passaggi chiave rilevanti per le imprese e per il futuro dell'innovazione in Europa. "The report recommends reforming the EU’s next Framework Programme for R&I in terms of its focus, budget allocation, governance and financial capacity." Questo suggerisce una necessità di riorganizzazione strategica per focalizzare le risorse su priorità comuni e supportare maggiormente l'innovazione dirompente. Un elemento cruciale è la trasformazione dell'EIC in una vera agenzia "tipo ARPA", capace di sostenere progetti ad alto rischio con il potenziale di rivoluzionare il panorama tecnologico. L’approccio DARPA degli Stati Uniti, che ha portato a innovazioni di grande impatto come Internet e GPS, suggerisce che un modello simile potrebbe favorire un salto di qualità nell'innovazione europea.

 

Il report sottolinea anche l'importanza di snellire la governance dei programmi di R&I, riducendo la burocrazia per le giovani imprese innovative. "Application processes should be faster and less bureaucratic." Questo punto è di vitale importanza per le PMI, che spesso si trovano scoraggiate da processi complessi e costosi. Una maggiore efficienza potrebbe non solo attrarre più innovatori, ma anche accelerare il time-to-market delle nuove tecnologie, riducendo il gap con altre regioni mondiali più dinamiche.

 

"Increased funding and stronger coordination is required to develop world-leading research and technological infrastructures, when scale is needed." Questa riflessione suggerisce che per competere su scala globale, l'Europa deve consolidare e ampliare le sue infrastrutture di ricerca. Il raddoppio del budget per l'ERC e l'introduzione di un programma "ERC for Institutions" potrebbe attrarre talenti di punta e creare poli accademici di eccellenza, indispensabili per la competitività scientifica e tecnologica a livello internazionale.

 

L'idea di una nuova posizione per ricercatori di livello mondiale, la “EU Chair”, evidenzia la necessità di trattenere i migliori talenti, un tema cruciale considerando che molte menti brillanti europee si spostano in ecosistemi più attrattivi come gli Stati Uniti o la Cina. Creare un ambiente più favorevole per la ricerca di punta potrebbe invertire questa tendenza e rafforzare l'ecosistema europeo dell'innovazione.

 

"Inventors to become investors" è un altro concetto chiave. Facilitare la transizione dall'invenzione alla commercializzazione attraverso un quadro normativo più snello per la gestione dei diritti di proprietà intellettuale è fondamentale per sfruttare appieno il potenziale innovativo europeo. L'adozione del brevetto unitario e la creazione di uno statuto giuridico unificato per le imprese innovative ("Innovative European Company") potrebbero semplificare notevolmente l'espansione delle startup a livello europeo, rimuovendo molte delle barriere che attualmente ostacolano la scalabilità.

 

In termini di finanziamento, "expanding incentives for business 'angels' and seed capital investors" e aumentare il mandato del Gruppo BEI per co-investire in iniziative ad alto capitale sono misure che potrebbero rafforzare significativamente l'ecosistema finanziario per l'innovazione. Il miglioramento del contesto finanziario è cruciale per trattenere e far crescere le startup in Europa, evitando che si trasferiscano in altre regioni alla ricerca di capitali più accessibili o di mercati più favorevoli.

 

Un altro punto di interesse strategico è la proposta di un modello federato per l'intelligenza artificiale basato sulla cooperazione tra infrastrutture pubbliche e private per fornire potenza di calcolo e servizi cloud. Questa strategia potrebbe non solo abbassare i costi di implementazione dell'IA, ma anche rafforzare la sovranità tecnologica europea in un settore dominato da attori extra-UE. In un contesto in cui l'IA è destinata a rivoluzionare interi settori, la capacità di competere con i giganti tecnologici globali diventa un elemento essenziale per mantenere la competitività industriale europea.

 

Nel complesso, il rapporto suggerisce una visione ambiziosa ma necessaria per colmare il divario di innovazione in Europa. La realizzazione di questi obiettivi richiede un forte impegno politico, una ristrutturazione dei programmi esistenti e una maggiore cooperazione tra gli Stati membri, le istituzioni europee e il settore privato. Le imprese, in particolare quelle innovative e in crescita, devono essere poste al centro di questa trasformazione, beneficiando di un contesto normativo e finanziario che le supporti dalla nascita alla scalabilità su scala globale.

 

Crisi delle competenze in Europa ostacolo alla competitività globale delle aziende

Analizzando il tema delle competenze in Europa, emerge un quadro preoccupante: "Around one-quarter of European companies have faced difficulties in finding employees with the right skills, while another half report some difficulties. 77% of EU companies report that even newly recruited employees do not have the required skills." Questi dati indicano che non solo è difficile trovare candidati qualificati, ma che anche coloro che vengono assunti spesso non soddisfano le aspettative aziendali. Questo fenomeno è aggravato dalla scarsa adozione di pratiche manageriali fondamentali, soprattutto nelle micro e piccole imprese, che ostacola l'adozione di tecnologie digitali.

 

Un'altra criticità è rappresentata dalle carenze di competenze digitali, con il 42% degli europei che non possiede competenze digitali di base, incluso il 37% della forza lavoro. Questo limita non solo l'adozione delle tecnologie ICT, ma rappresenta anche un freno per l'innovazione e la competitività. Le aziende europee si trovano così in una situazione in cui le competenze disponibili non sono allineate con le esigenze emergenti del mercato, in particolare per quanto riguarda le competenze STEM e digitali, aree in cui l'Europa produce talenti di alta qualità, ma in quantità insufficiente rispetto alla domanda.

 

Questa carenza di competenze ha anche implicazioni per la transizione verde: "Decarbonisation will also require new skills sets and job profiles." Con la crescente domanda di lavoratori qualificati in settori come il clean tech, la mancanza di competenze rischia di rallentare il processo di decarbonizzazione. Le previsioni per il 2035 suggeriscono che le carenze più acute si verificheranno nelle occupazioni non manuali ad alta qualificazione, aggravate dai pensionamenti e dai cambiamenti nelle esigenze del mercato del lavoro.

 

L'analisi evidenzia anche che "The undersupply of skills in Europe owes to declines in education and training systems that are failing to prepare the workforce for technological change." Le prestazioni educative in Europa stanno calando, come mostrato dai punteggi PISA, e la formazione degli adulti è insufficiente per colmare il gap di competenze esistenti. Solo il 37% degli adulti ha partecipato a programmi di formazione nel 2016, un dato che non è migliorato significativamente negli anni successivi, rendendo difficile raggiungere l'obiettivo del 60% di partecipazione fissato dall'Agenda europea per le competenze.

 

Dal punto di vista strategico, le aziende devono considerare che questa crisi delle competenze rappresenta un ostacolo non solo alla crescita interna, ma anche alla competitività internazionale. La limitata disponibilità di talenti STEM e ICT, combinata con la tendenza alla fuga dei cervelli, riduce la capacità delle imprese europee di innovare e adattarsi ai cambiamenti tecnologici. Inoltre, l'inefficienza nell'utilizzo dei fondi UE per le competenze, insieme alla frammentazione delle politiche educative tra i vari Stati membri, limita l'efficacia degli investimenti in questo settore. La proposta di un nuovo programma per l'acquisizione di competenze tecnologiche e un sistema comune di certificazione delle competenze rappresentano passi necessari per migliorare la situazione, ma richiedono un'implementazione coordinata e un maggiore coinvolgimento delle imprese nel definire le competenze necessarie.

 

Per le imprese, ciò significa che la collaborazione con istituzioni educative e la partecipazione attiva nello sviluppo di programmi di formazione mirati possono diventare elementi chiave per superare questa crisi. Inoltre, l'adozione di strategie per attrarre e trattenere talenti, anche da paesi extra-europei, potrebbe rappresentare una leva competitiva fondamentale nel lungo termine.

 

Decarbonizzazione e competitività europea strategia mista per la resilienza industriale

I passaggi chiave sono: "High energy costs in Europe are an obstacle to growth, while lack of generation and grid capacity could impede the spread of digital tech and transport electrification," e "Energy prices also continue to affect corporate investment sentiment much more than in other major economies." Questi elementi evidenziano come i costi energetici rappresentino una barriera significativa per la crescita economica e l’innovazione in Europa, incidendo non solo sulla competitività delle imprese, ma anche sulla loro propensione a investire, soprattutto se confrontati con altre economie come quella degli Stati Uniti, dove solo metà delle imprese considera i costi energetici un ostacolo importante agli investimenti.

 

Un dato preoccupante è che per le industrie ad alta intensità energetica (EIIs), la produzione è diminuita del 10-15% dal 2021, riflettendo un cambiamento nella composizione industriale europea con un aumento delle importazioni da paesi con costi energetici inferiori. Questo scenario potrebbe spingere le imprese europee a delocalizzare ulteriormente la produzione, aggravando la deindustrializzazione e riducendo la resilienza economica del continente. Le proiezioni sull’aumento della domanda di energia da parte dei data center (dal 2,7% della domanda totale di elettricità al 28% entro il 2030) evidenziano ulteriormente le limitazioni infrastrutturali che l’Europa potrebbe affrontare se non si investe adeguatamente in capacità di generazione energetica e rete di distribuzione.

 

L’ambizione dell'UE di ridurre le emissioni di gas serra del 55% entro il 2030 rispetto ai livelli del 1990, contro gli obiettivi meno vincolanti degli Stati Uniti e della Cina, aggiunge pressione sulle imprese europee, che devono affrontare costi di decarbonizzazione molto elevati. Questo scenario richiede investimenti significativi, stimati in 500 miliardi di euro nei prossimi 15 anni per i settori industriali principali e circa 100 miliardi di euro all'anno per le parti "hard-to-abate" del settore dei trasporti tra il 2031 e il 2050. Mentre altri competitor globali come la Cina continuano a beneficiare di sussidi statali massicci, l’Europa rischia di vedere la sua posizione competitiva erodersi rapidamente.

 

La necessità di un piano congiunto di decarbonizzazione e competitività emerge chiaramente. Non si tratta solo di ridurre i costi energetici attraverso una transizione verso fonti di energia rinnovabile con costi marginali bassi, come il solare e l'eolico, ma anche di proteggere e potenziare il tessuto industriale europeo. "Decarbonisation offers an opportunity for Europe to lower energy prices and take the lead in clean technologies (“clean tech”), while also becoming more energy secure," rappresenta una prospettiva strategica fondamentale. L’Europa ha il potenziale per essere un leader nell'innovazione del "clean tech," anche se la sfida sarà quella di tradurre questa leadership in vantaggi industriali concreti, soprattutto alla luce della crescente capacità cinese di produrre tecnologie a basso costo.

 

Uno degli scenari più complessi che l'Europa dovrà gestire è la concorrenza cinese, che con il suo massiccio supporto governativo potrebbe saturare il mercato globale con tecnologie a basso costo. Questo crea un dilemma strategico: bloccare la tecnologia cinese potrebbe rallentare la transizione energetica dell'Europa e aumentare i costi, mentre un approccio laissez-faire potrebbe danneggiare l'occupazione, la produttività e la sicurezza economica del continente. La simulazione della BCE che prevede una possibile riduzione del 70% nella produzione europea di veicoli elettrici in caso di escalation dei sussidi cinesi sottolinea l'urgenza di un intervento calibrato.

 

L'Europa, quindi, non può permettersi soluzioni unilaterali e dovrà optare per una strategia mista che combini strumenti di politica commerciale, incentivi agli investimenti locali e misure di protezione strategica per settori chiave. Le quattro categorie di industrie delineate suggeriscono approcci diversificati: dall'accettazione delle importazioni in settori non competitivi all'implementazione di misure di protezione per industrie strategiche, fino alla promozione dell'innovazione nelle industrie emergenti. Questo mix di politiche dovrà essere allineato agli obiettivi più ampi dell'UE per garantire che la decarbonizzazione non avvenga a scapito della competitività industriale.

 

Le implicazioni per le imprese europee sono chiare: adattarsi rapidamente a un contesto normativo in evoluzione, sfruttare le opportunità di finanziamento legate alla transizione energetica e innovare per mantenere una posizione di leadership nei settori ad alta intensità tecnologica saranno le chiavi per navigare con successo questa fase di trasformazione. Senza una visione strategica condivisa e un impegno congiunto tra pubblico e privato, l'Europa rischia non solo di perdere la corsa alla decarbonizzazione, ma anche di compromettere la sua base industriale e, con essa, il suo futuro economico.

 

Prezzi elevati dell'energia in Europa cause e soluzioni

Analizzando le cause principali dell'elevato costo dell'energia in Europa, emerge chiaramente che le problematiche strutturali rivestono un ruolo centrale. Come evidenziato da "The price differential vis-à-vis the US is primarily driven by Europe’s lack of natural resources, as well as by Europe’s limited collective bargaining power despite being the world’s largest buyer of natural gas". Questo disallineamento rispetto agli Stati Uniti deriva dalla scarsa disponibilità di risorse naturali in Europa e dalla limitata capacità di negoziazione collettiva, nonostante il ruolo di primo piano dell'UE come maggiore acquirente mondiale di gas naturale. Questa situazione espone l'Europa a una maggiore volatilità dei prezzi, un problema amplificato dall'eccessiva dipendenza dai prezzi spot, soprattutto per il gas liquefatto (LNG), il cui costo è solitamente più elevato rispetto al gas via pipeline a causa dei costi di liquefazione e trasporto.

 

Un altro aspetto critico evidenziato riguarda le inefficienze del mercato energetico europeo, dove "infrastructure investment is slow and suboptimal, both for renewables and grids". L'investimento in infrastrutture energetiche, sia per le rinnovabili sia per le reti, è lento e subottimale, limitando la capacità dell'UE di trarre pieno vantaggio dalle energie pulite. Inoltre, le regole di mercato impediscono a industrie e famiglie di beneficiare appieno della decarbonizzazione nelle loro bollette. Questo è particolarmente problematico in un contesto in cui la volatilità dei prezzi viene trasferita direttamente ai consumatori finali, nonostante la crescente produzione di energia da fonti rinnovabili.

 

Un altro punto chiave riguarda i mercati derivati del gas, dove "financial and behavioural aspects of gas derivative markets can exacerbate this volatility and amplify the impact of shocks". La concentrazione delle attività di trading da parte di poche aziende nel mercato europeo del gas, e le esenzioni che tali aziende possono sfruttare, contribuiscono a una maggiore volatilità. Negli Stati Uniti, una regolamentazione più stringente limita tali esenzioni, suggerendo un potenziale percorso di miglioramento per l'UE in termini di supervisione e controllo.

 

L'introduzione di meccanismi come l'AggregateEU rappresenta un passo iniziale verso una maggiore centralizzazione degli acquisti e della negoziazione, ma l'assenza di obblighi per l'acquisto congiunto limita l'efficacia di tali iniziative. "The EU introduced a coordination mechanism to aggregate and match demand with competitive supply offers (AggregateEU), but there is no obligation for joint purchasing on the platform". L'assenza di un obbligo di acquisto congiunto riduce la capacità dell'UE di esercitare un potere di mercato collettivo più incisivo, lasciando aperta la possibilità di competizioni interne tra gli Stati membri per l'approvvigionamento di gas a prezzi elevati, come avvenuto durante la crisi del 2022.

 

L'analisi inoltre rivela come i lunghi e incerti processi di autorizzazione per nuove capacità di generazione e infrastrutture rappresentino un ulteriore ostacolo. "The entire permit granting process for onshore wind farms can take up to 9 years in some Member States, compared with under 3 years in the most efficient ones". La variabilità dei tempi di autorizzazione tra gli Stati membri, dovuta in parte a valutazioni d'impatto ambientale prolungate e a carenze nelle capacità amministrative, rallenta l'installazione di nuove capacità energetiche necessarie per la transizione verde.

 

Infine, la tassazione energetica nell'UE, seppur giustificata da politiche di decarbonizzazione, ha contribuito ad aumentare i prezzi al dettaglio, ponendo l'Europa in una posizione di svantaggio competitivo rispetto ad altre regioni come gli Stati Uniti, dove non vi sono tasse federali sull'elettricità o sul consumo di gas naturale. Questa situazione, unita alla volatilità dei costi di generazione dovuta al sistema ETS dell'UE, aggrava ulteriormente il quadro economico per le imprese europee.

 

Le implicazioni per le imprese sono molteplici: da una parte la necessità di strategie di gestione del rischio più sofisticate per affrontare la volatilità dei prezzi energetici, dall'altra l'opportunità di investire in soluzioni come i Power Purchase Agreements (PPAs) per stabilizzare i costi energetici a lungo termine. La capacità di adattarsi rapidamente alle dinamiche del mercato energetico e di sfruttare meccanismi di aggregazione e acquisto congiunto potrebbe rappresentare un vantaggio competitivo cruciale in un contesto economico sempre più incerto.

 

Tecnologie green in Europa, la necessità di una strategia industriale integrate

Analizzando il capitolo relativo alle tecnologie pulite, i passaggi chiave sono: "More than one-fifth of clean and sustainable technologies worldwide are developed in the EU and the pipeline is still strong: around half of EU clean tech innovations at a launch or early revenue stage, 22% at scale-up stage and 10% already mature" e "since 2020 patenting in low-carbon innovation has slowed down in Europe, while in recent years the sector has seen its early-stage advantages being challenged." Questi dati evidenziano come l'Europa mantenga un forte potenziale innovativo nel settore delle tecnologie pulite, ma stia faticando a trasformare tale vantaggio in una leadership di mercato solida e duratura. L'erosione delle capacità di brevettazione e la perdita di investimenti nelle prime fasi di sviluppo indicano un ecosistema di innovazione che, seppur promettente, non riesce a sostenere adeguatamente la scalabilità e la commercializzazione.

 

Un altro punto cruciale è che "the EU is the second largest market in terms of demand for solar PV, wind and EVs," ma nonostante questo posizionamento favorevole in termini di domanda interna, l'Europa fatica a competere sul fronte della produzione. "In certain sectors, such as solar PV, the EU has already lost its manufacturing capacities, with production now dominated by China," evidenzia un divario crescente tra capacità tecnologica e capacità produttiva. In settori come quello del fotovoltaico, l'Europa ha già ceduto il primato, nonostante un inizio promettente, a causa della capacità della Cina di offrire costi di produzione significativamente più bassi. Questo fenomeno riflette un problema sistemico: la mancanza di una strategia industriale europea solida e coesa che possa competere con le sovvenzioni e le politiche protezionistiche di Cina e Stati Uniti, come dimostrato dall'Inflation Reduction Act americano che, con finanziamenti stimati tra 40 e 250 miliardi di dollari, ha ridotto il divario di costo tra i produttori americani e quelli cinesi.

 

"Lack of an industrial strategy equivalent to other major regions" e "for example, solar PV manufacturing costs in China are around 35%-65% lower than in Europe" sono elementi che chiariscono come l'Europa, nonostante gli sforzi, sia penalizzata da costi produttivi più alti e da un quadro normativo frammentato e meno generoso in termini di incentivi. Il Net Zero Industry Act (NZIA) del 2023 rappresenta un tentativo di risposta a queste sfide, ma soffre di complessità burocratiche e finanziamenti insufficienti rispetto ai concorrenti globali. Inoltre, la mancanza di quote minime per prodotti e componenti locali limita la capacità del mercato interno di sostenere la produzione europea.

 

Un caso interessante che mostra le potenzialità di un approccio strategico mirato è quello del settore delle batterie: "battery manufacturing output reached around 65 GWh in 2023 in the EU, growing by around 20% over the previous year." La crescita del settore delle batterie in Europa, seppur ancora inferiore rispetto a Stati Uniti e Cina, dimostra che politiche pubbliche focalizzate e investimenti possono produrre risultati concreti. Tuttavia, il fatto che buona parte degli investimenti provenga da attori non europei e che manchino joint ventures significative evidenzia un'opportunità persa per sviluppare know-how critico all'interno del contesto europeo.

 

Il quadro complessivo suggerisce che l'Europa si trova a un bivio strategico. Per mantenere e ampliare la sua posizione nel settore delle tecnologie pulite, l'UE deve affrontare le sfide legate ai costi di produzione, alla frammentazione normativa e alla competizione globale con politiche industriali più ambiziose e integrate. Le imprese europee devono affrontare un ambiente complesso ma ricco di opportunità, investendo in innovazione, cercando partnership strategiche e sfruttando al meglio il supporto pubblico disponibile per colmare il divario con i competitor globali.

 

Come la mancanza di pianificazione ostacola la decarbonizzazione dei trasporti in Europa

Analizzando le sfide della decarbonizzazione, emergono criticità rilevanti per le industrie ad alta intensità energetica, dovute non solo ai prezzi elevati dell'energia, ma anche alla limitata attenzione pubblica verso il raggiungimento degli obiettivi di decarbonizzazione e agli insufficienti investimenti in combustibili sostenibili. "Despite the massive investment needs facing Energy Intensive Industries (EIIs), and the challenging business case for investment in 'hard-to-abate' sectors, there is limited public support for the transition in Europe." Questo contesto mette in luce un divario competitivo tra le regioni, con l'Europa che offre un supporto pubblico limitato rispetto ad altre aree come la Cina, che fornisce oltre il 90% dei sussidi globali per il settore dell'alluminio, evidenziando una mancanza di equità negli sforzi di decarbonizzazione.

 

Per le imprese europee nei settori ad alta intensità energetica, questa asimmetria si traduce in una duplice sfida: competere a livello globale con concorrenti che godono di sussidi significativi, e dover rispettare standard ambientali più stringenti senza un adeguato supporto pubblico. Questa situazione rischia di causare una “fuga di carbonio” ("carbon leakage"), dove le attività economiche si spostano verso regioni con regolamentazioni meno rigorose, riducendo così l'efficacia degli sforzi di decarbonizzazione a livello globale. "Decarbonisation is also a competitive disadvantage for the 'hardest-to-abate' parts of the transport sector (aviation and maritime) [...] Consequently, there is a risk of carbon leakage and business diversion from transport hubs in the EU to those in the EU’s neighbourhood."

 

Un altro aspetto critico è la mancanza di pianificazione a livello dell'UE per la competitività del trasporto, che impedisce di sfruttare appieno le potenzialità del trasporto multimodale per ridurre le emissioni di carbonio. Nonostante il trasporto rappresenti un quarto delle emissioni di gas serra in Europa, e le emissioni di CO2 da questo settore siano ancora superiori rispetto al 1990, "lack of EU-level planning for transport competitiveness is hindering the ability of Europe to capitalise on the possibilities of multimodal transport to lower carbon emissions." Questo sottolinea la necessità di un approccio integrato che coinvolga le reti energetiche, le infrastrutture di ricarica, la standardizzazione degli equipaggiamenti, e la digitalizzazione dei sistemi di mobilità.

 

La situazione nel settore automotive europeo è emblematica: l'obiettivo di emissioni zero allo scarico entro il 2035 sta accelerando l'adozione di veicoli elettrici (EV), ma senza una parallela trasformazione della catena di approvvigionamento. "The ambitious target of zero tailpipe emissions by 2035 will lead to a de facto phasing out of new registrations of vehicles with internal combustion engines and the rapid market penetration of EVs. Yet, the EU has not followed up these ambitions with a synchronised push to convert the supply chain." Mentre l'Europa ha avviato iniziative come l'Alleanza Europea delle Batterie solo nel 2017, la Cina ha iniziato a investire in tutta la catena del valore degli EV già dal 2012, ottenendo un vantaggio competitivo significativo. Questo ritardo strategico sta già influenzando la quota di mercato delle aziende europee, con la quota dei carmaker cinesi in Europa salita dal 5% nel 2015 a quasi il 15% nel 2023, mentre quella dei produttori europei è scesa dall'80% al 60%.

 

L'analisi suggerisce che, per le imprese europee, il vero vantaggio competitivo deriverà non solo dalla conformità normativa ma dalla capacità di anticipare le tendenze globali e di ottenere supporti coordinati lungo tutta la catena del valore, dall'innovazione dei materiali all'infrastruttura di supporto. La digitalizzazione e l'interoperabilità delle infrastrutture di trasporto rappresentano aree chiave in cui l'Europa deve accelerare per evitare di perdere ulteriormente terreno rispetto ai concorrenti internazionali.

 

Unione dell'Energia e sviluppo infrastrutturale per una competitività sostenibile

Analizzando il rapporto, emergono diversi passaggi chiave rilevanti per le imprese che operano nel settore energetico e industriale, con particolare attenzione alle strategie per la decarbonizzazione e la competitività economica. Uno dei principali obiettivi identificati è quello di ridurre i costi energetici per gli utenti finali trasferendo i benefici della decarbonizzazione. È importante notare che "Natural gas will remain part of the energy mix in Europe over the medium term – scenarios suggest that EU gas demand will fall by 8%-25% by 2030". Questo evidenzia una necessità strategica per le aziende di adattarsi non solo a una diminuzione della domanda di gas naturale, ma anche a una maggiore volatilità dei prezzi, che potrebbe essere mitigata attraverso un rafforzamento degli acquisti congiunti di gas naturale liquefatto (LNG) e la formazione di partenariati a lungo termine con fornitori affidabili.

 

Un altro punto cruciale è la necessità di "decouple the remuneration of renewable energy and nuclear from fossil-fuel generation", utilizzando strumenti come i Power Purchase Agreements (PPAs), che sono contratti a lungo termine per l'acquisto di energia tra produttori e acquirenti, e i Contracts for Difference (CfDs), che garantiscono un prezzo stabile per l'energia prodotta compensando le differenze tra il prezzo di mercato e un prezzo concordato. Questo è particolarmente rilevante per le imprese energetiche, poiché l'adozione di questi strumenti può offrire una maggiore stabilità dei ricavi, incentivando ulteriormente gli investimenti nelle energie rinnovabili e nel nucleare.

 

Dal punto di vista delle politiche fiscali, ridurre la tassazione sull'energia emerge come una componente fondamentale per abbassare i costi per gli utenti finali. Tuttavia, la complessità delle negoziazioni politiche a livello UE rende questo un obiettivo sfidante, ma cruciale per la competitività. È quindi essenziale per le imprese monitorare da vicino gli sviluppi normativi in questo campo e prepararsi a adattarsi a nuove condizioni fiscali che potrebbero emergere.

 

Il rapporto pone un'enfasi significativa anche sulla "accelerate decarbonisation in a cost-efficient way, leveraging all available solutions through a technology-neutral approach". Per le aziende, questo implica che non vi sarà una preferenza politica per una singola tecnologia, ma piuttosto un invito a diversificare gli investimenti in un mix di soluzioni, inclusi idrogeno, bioenergia e cattura e stoccaggio del carbonio (CCUS). In pratica, ciò suggerisce una necessità di flessibilità strategica per le imprese che intendono rimanere competitive nel lungo periodo.

 

Un altro tema di grande interesse è l’importanza delle infrastrutture energetiche, in particolare le reti di trasmissione. "Delivering a step-change in grid deployment will require a new approach to planning at the EU and Member State levels". Questo evidenzia un bisogno critico di un approccio più coordinato e centralizzato nello sviluppo delle infrastrutture energetiche, con una particolare attenzione agli interconnettori. Per le imprese, ciò rappresenta sia un'opportunità che una sfida: l'opportunità di partecipare a progetti di infrastruttura su larga scala finanziati da fondi UE, e la sfida di navigare attraverso un contesto regolamentare complesso e in evoluzione.

 

In parallelo, viene sottolineata la necessità di "develop the governance needed for a genuine Energy Union". Questo implica che le decisioni rilevanti per il mercato energetico europeo dovrebbero essere centralizzate per garantire un'efficace supervisione e regolamentazione, riducendo i rischi di frammentazione del mercato e creando un contesto più prevedibile per le imprese.

 

Infine, la relazione affronta la questione della "hard-to-abate" industries, suggerendo un utilizzo più strategico delle entrate del sistema ETS (Emission Trading System) per sostenere la decarbonizzazione dei settori industriali intensivi in energia. Questo suggerisce alle imprese di prepararsi a un aumento degli investimenti in tecnologie verdi e di adattarsi rapidamente alle politiche di carbon pricing che diventeranno sempre più stringenti.

 

L'approccio proposto sottolinea una strategia integrata che mira non solo alla decarbonizzazione, ma anche a mantenere la competitività europea attraverso l'adozione di un insieme di strumenti politici, fiscali e regolatori. Per le imprese, ciò rappresenta un chiaro invito a riconsiderare le proprie strategie di investimento e di gestione del rischio, preparandosi ad un contesto sempre più orientato verso la sostenibilità e la cooperazione transfrontaliera.

 

Rafforzare la difesa europea per ridurre la vulnerabilità geopolitica

Analizzando il rapporto, emergono diversi passaggi chiave che delineano le sfide e le opportunità per l'Europa nel contesto delle dipendenze esterne e della sicurezza economica. Uno dei punti cruciali è che "around 40% of Europe’s imports are sourced from a small number of suppliers and difficult to substitute, and around half of these imports originate from countries with which it is not strategically aligned." Questa condizione espone l'Europa a rischi significativi in caso di interruzioni improvvise nel commercio causate da conflitti geopolitici. La dipendenza da fornitori non strategicamente allineati aumenta la vulnerabilità dell'Europa a pressioni coercitive, che possono minare la sua coesione politica e strategica.

 

La crescente preoccupazione per l'uso delle dipendenze come "geopolitical weapon" evidenzia l'importanza di ridurre tali vulnerabilità. Questo è particolarmente rilevante in un contesto di rapporti geopolitici deteriorati, che spingono a maggiori investimenti nella difesa e nelle capacità industriali di difesa. "Deteriorating geopolitical relations also create new needs for spending on defence and defence industrial capacity," e l'Europa si trova a dover affrontare non solo la guerra convenzionale ai suoi confini orientali, ma anche forme di guerra ibrida, come gli attacchi alle infrastrutture energetiche e le interferenze nei processi democratici. La dipendenza dall'ombrello di sicurezza degli Stati Uniti, che sta spostando la sua attenzione verso la regione del Pacifico, accentua la necessità per l'Europa di aumentare le proprie capacità difensive.

 

Tuttavia, questa transizione verso una maggiore indipendenza comporta costi significativi. "Becoming more independent creates an 'insurance cost' for Europe, but these costs can be mitigated by cooperation." L'investimento necessario per rafforzare la sicurezza delle materie prime critiche e delle tecnologie avanzate, come i semiconduttori, potrebbe comportare una crescita dei costi a breve termine per l'economia europea, ma il valore strategico di tali investimenti aumenta esponenzialmente in scenari di crisi estrema, come dimostrato dall'interruzione delle forniture di gas russo.

 

Per le imprese europee, questo scenario suggerisce l'urgenza di un ripensamento strategico delle catene di approvvigionamento e della gestione del rischio. In un contesto in cui le tensioni geopolitiche possono rapidamente trasformarsi in barriere commerciali, diversificare i fornitori e investire in resilienza può non solo proteggere l'operatività ma anche fornire un vantaggio competitivo. Ad esempio, la crisi dei semiconduttori ha messo in evidenza quanto sia vulnerabile la produzione europea senza un accesso stabile a queste tecnologie. Le aziende che hanno saputo diversificare le loro fonti di approvvigionamento o investire in soluzioni alternative hanno potuto mitigare meglio gli impatti delle carenze globali.

 

Inoltre, il focus crescente sulla sicurezza collettiva potrebbe aprire nuove opportunità di mercato per le imprese europee nei settori della difesa e delle tecnologie avanzate. Collaborare a livello europeo per sviluppare capacità comuni potrebbe ridurre i costi e accelerare l'innovazione. Ad esempio, l'iniziativa della Commissione Europea di stimare investimenti aggiuntivi per circa 500 miliardi di euro nei prossimi dieci anni per la difesa evidenzia un mercato in crescita, dove la cooperazione e la specializzazione potrebbero rivelarsi decisive.

 

La strategia di mitigare i costi attraverso la cooperazione è un aspetto fondamentale che richiede una visione condivisa tra gli Stati Membri dell'UE. "Building up domestic capacity for advanced technologies will be most effective if priorities and demand requirements are coordinated in advance." Solo attraverso una maggiore integrazione e coordinazione delle politiche industriali e della difesa, l'Europa potrà massimizzare i benefici degli investimenti necessari per ridurre le dipendenze critiche e rafforzare la propria autonomia strategica.

 

Dipendenza europea dai minerali critici, impatti geopolitici e strategie di mitigazione

Dal rapporto emerge che "access to CRMs is critical for the clean tech and automotive industry, yet supply is highly concentrated," con il mercato globale dei minerali critici per la transizione energetica che ha raddoppiato il proprio valore negli ultimi cinque anni, raggiungendo i 300 miliardi di euro nel 2022. La crescente domanda di tecnologie energetiche pulite sta aumentando in modo vertiginoso la richiesta di materie prime critiche: dal 2017 al 2022, la domanda globale di litio è triplicata, quella di cobalto è aumentata del 70% e quella di nichel del 40%. Le proiezioni dell'IEA indicano che la domanda di minerali per tecnologie energetiche pulite crescerà di un fattore da 4 a 6 entro il 2040. Questa dipendenza comporta significativi rischi di volatilità dei prezzi e vulnerabilità geopolitiche, poiché la lavorazione e la raffinazione sono concentrate in pochi paesi non sempre allineati strategicamente con l'UE, come la Cina, che domina tra il 35% e il 70% delle attività di lavorazione di minerali critici.

 

La situazione evidenzia un problema strategico per l'Europa, che non dispone di strumenti equivalenti alle riserve di petrolio e gas per attenuare gli shock di mercato, e questo limita la capacità di investimento. La volatilità del prezzo del litio, che è aumentato di dodici volte in due anni per poi crollare dell'80%, è un esempio emblematico. Inoltre, la concentrazione delle risorse rappresenta un'arma geopolitica, con esportazioni che sono aumentate di nove volte in Cina tra il 2009 e il 2020. L'Europa è in ritardo nella corsa globale per garantire le catene di approvvigionamento indipendenti. Altri grandi economie come la Cina, gli Stati Uniti e il Giappone hanno adottato strategie proattive per assicurare l'accesso a queste risorse critiche. Ad esempio, gli Stati Uniti stanno utilizzando leggi come l'IRA e il Bipartisan Infrastructure Act per sviluppare capacità domestiche di lavorazione e raffinazione, mentre il Giappone ha stabilito una strategia di sicurezza economica per aumentare l'accesso ai progetti minerari esteri.

 

Un altro punto di vulnerabilità per l'UE riguarda le tecnologie critiche per la digitalizzazione, come i semiconduttori e l'AI, in cui l'UE dipende fortemente da paesi terzi. L'industria dei semiconduttori è dominata da pochi grandi attori globali con gli Stati Uniti, la Corea, Taiwan e la Cina che occupano posizioni chiave in diversi segmenti della catena del valore. Ad esempio, l'UE non ha attualmente fonderie in grado di produrre sotto i 22 nm e dipende dall'Asia per una quota tra il 75% e il 90% della capacità di fabbricazione dei wafer. L'Europa è anche dipendente dai servizi cloud sviluppati da aziende statunitensi, e nel campo del quantum computing soffre di sei dipendenze critiche attraverso 17 tecnologie, componenti e materiali chiave.

 

Per ridurre queste vulnerabilità, è cruciale che l'UE sviluppi una politica economica estera basata sulla sicurezza delle risorse critiche, implementando rapidamente e completamente il Critical Raw Materials Act (CRMA) e creando una strategia complessiva che copra tutte le fasi della catena di approvvigionamento dei minerali critici, dall'estrazione al riciclaggio. Tra le proposte vi è la creazione di una piattaforma UE per i materiali critici, che potrebbe aggregare la domanda e coordinare gli acquisti con i paesi produttori, simile al modello utilizzato da Corea del Sud e Giappone, e promuovere una "diplomazia delle risorse" per rafforzare la posizione europea.

 

Inoltre, per sfruttare appieno le risorse domestiche, l'UE dovrebbe accelerare l'apertura di miniere locali e migliorare il riciclaggio dei materiali critici presenti nei beni dismessi. Il potenziale di soddisfare la domanda attraverso il riciclaggio è significativo, con stime che suggeriscono che l'UE potrebbe coprire oltre la metà dei suoi requisiti di metalli per le tecnologie pulite nel 2050. È fondamentale, quindi, rafforzare il mercato secondario per i rifiuti di materie prime critiche e migliorare la legislazione sull'esportazione e la gestione dei rifiuti.

 

Questa analisi rivela una sfida complessa per l'Europa, dove la mancanza di una strategia coordinata può condurre a dipendenze strategiche sempre più accentuate e compromettere la competitività futura. Per evitare questo, l'UE deve adottare un approccio integrato e proattivo che non solo mitighi i rischi esistenti, ma che costruisca una base resiliente per il futuro industriale ed economico del continente.

 

Politiche di consolidamento per competitività globale in difesa e spazio

Esaminando il rapporto sul rafforzamento della capacità industriale nei settori della difesa e dello spazio, emergono alcuni punti chiave di grande rilevanza strategica per le imprese europee. Il rapporto evidenzia come l'industria della difesa europea soffra di una doppia carenza: una domanda complessiva inferiore rispetto agli Stati Uniti e una spesa meno focalizzata sull'innovazione tecnologica. "Aggregate defence spending in the EU is about one-third as high as in the US" e "total funding for defence R&D was EUR 10.7 billion in 2022, amounting to just 4.5% of total spending", contro il 16% del budget difensivo americano destinato a ricerca e sviluppo. Questa disparità non solo limita la capacità di innovazione dell'industria europea, ma la espone a un significativo rischio strategico, in quanto la difesa è un settore altamente tecnologico che richiede investimenti massicci in R&D per mantenere la parità strategica.

 

Il rapporto sottolinea la frammentazione dell'industria della difesa europea, dove la presenza di molti attori nazionali e mercati domestici relativamente piccoli compromette la scala e l'efficacia operativa. "Fragmentation creates two major challenges... lacks scale... and lack of standardisation and the interoperability of equipment." Questa situazione non solo limita le economie di scala, ma anche la capacità di rispondere in modo efficace a richieste crescenti, come dimostrato dalla diversificazione dell'equipaggiamento inviato all'Ucraina, che ha creato "serious logistical difficulties for Ukraine’s armed forces." La frammentazione si riflette inoltre in una mancanza di standardizzazione che impedisce l'interoperabilità delle attrezzature, riducendo la capacità dell'industria europea di competere su scala globale.

 

Per il settore spaziale, il rapporto evidenzia una situazione simile, con un’eccellenza tecnologica riconosciuta ma accompagnata da una perdita di competitività nei segmenti commerciali, "the EU has lost its leading market position in commercial launchers (Ariane 4-5) and geostationary satellites." La dipendenza da SpaceX per il lancio dei satelliti del programma Galileo rappresenta un chiaro segnale di vulnerabilità strategica. "Public expenditure in Europe on space stood at USD 15 billion, compared with USD 73 billion in the US," con la Cina che si prevede superi l’Europa entro pochi anni. Questo divario evidenzia un problema strutturale di sottoinvestimento che limita le capacità europee nei settori spaziali emergenti e critici come le mega-costellazioni per telecomunicazioni e la propulsione dei razzi.

 

Le implicazioni per le imprese sono molteplici. In primo luogo, la necessità di consolidamento e coordinamento industriale emerge come un elemento cruciale per aumentare la scala e l’efficienza. La proposta di una "European Defence Industrial Policy" mira a favorire l'integrazione cross-border degli asset industriali della difesa e a promuovere una maggiore standardizzazione e interoperabilità, riducendo la frammentazione. Per renderlo possibile, è cruciale che le politiche di concorrenza dell'UE promuovano il consolidamento industriale quando questo può portare a maggiori efficienze o stimolare investimenti competitivi su scala globale. Un esempio positivo citato è il progetto collaborativo del "A330 Multi-Role Tanker Transport", che ha dimostrato i benefici della condivisione delle risorse e dei costi operativi.

 

Un altro aspetto fondamentale riguarda l'aggregazione della domanda e la centralizzazione della spesa pubblica per superare la frammentazione attuale. Il rapporto propone di incrementare la cooperazione e il pooling delle risorse a livello europeo per la R&D nel settore della difesa, "there is a strong case to reinforce cooperation and pooling of resources for defence R&D at the EU level." L'adozione di programmi comuni e la creazione di progetti di interesse comune europeo nel settore della difesa potrebbero rappresentare una svolta, consentendo di concentrare gli investimenti su iniziative che abbiano un impatto significativo e garantendo che le risorse siano utilizzate in modo più efficiente.

 

Per il settore spaziale, la raccomandazione di rivedere le regole di governance dell'ESA, in particolare il principio del "geographical return", potrebbe contribuire a ridurre la frammentazione e a favorire un utilizzo più strategico e competitivo delle risorse. L'idea di un "Space Industrial Fund" per agire come "anchor customer" potrebbe fornire un sostegno significativo all’industria spaziale europea, incrementandone la capacità e la competitività globale.

 

In sintesi, il rapporto mette in luce l'urgenza di un approccio più integrato e coordinato a livello europeo per sostenere la crescita e l'innovazione nelle industrie della difesa e dello spazio. La capacità di aggregare la domanda, standardizzare i prodotti e consolidare le capacità industriali sarà determinante per rafforzare la posizione strategica dell'Europa in questi settori cruciali.

 

Superare la frammentazione dei mercati dei capitali europei per stimolare gli investimenti

I passaggi chiave sono: "To meet the objectives laid out in this report, a minimum annual additional investment of EUR 750 to 800 billion is needed, based on the latest Commission estimates, corresponding to 4.4-4.7% of EU GDP in 2023." e "the private sector will need public support to finance the plan". L’analisi evidenzia come l’UE, per raggiungere i suoi obiettivi strategici, debba significativamente incrementare la quota di investimenti rispetto al PIL, puntando ad un aumento dal 22% attuale al 27%, invertendo così una tendenza decrescente pluridecennale. Tuttavia, esiste una debolezza strutturale nell’attuale sistema di finanziamento degli investimenti produttivi in Europa, principalmente a causa di un'intermediazione finanziaria meno efficiente rispetto ad altre economie avanzate, come gli Stati Uniti.

 

Un problema fondamentale risiede nella frammentazione dei mercati dei capitali europei. Ad esempio, "the EU lacks a single securities market regulator and a single rulebook for all aspects of trading". Questa frammentazione rende più difficile mobilitare i risparmi privati verso investimenti produttivi, nonostante i risparmi delle famiglie europee siano abbondanti: nel 2022 hanno raggiunto i 1.390 miliardi di euro, rispetto agli 840 miliardi negli Stati Uniti. Ciononostante, la ricchezza delle famiglie europee rimane inferiore a quella delle controparti statunitensi, in gran parte a causa dei rendimenti più bassi ottenuti dai mercati finanziari europei. Inoltre, l’UE mostra una dipendenza eccessiva dal finanziamento bancario, che si adatta meno ai progetti innovativi e incontra diversi vincoli strutturali e normativi. Per esempio, "banks in Europe also suffer from lower profitability than their US counterparts" e non riescono a sfruttare appieno strumenti come la cartolarizzazione, che negli Stati Uniti rappresenta un’importante leva per la flessibilità dei bilanci bancari e la promozione di nuovi prestiti.

 

La soluzione proposta, ossia l’integrazione dei mercati dei capitali europei tramite l’unione dei mercati dei capitali (CMU), è cruciale per ridurre i costi del capitale privato e stimolare gli investimenti. Tuttavia, le riforme necessarie per raggiungere questo obiettivo richiederanno tempo e coordinamento politico significativo. Parallelamente, la proposta di emettere un "common safe asset" a livello europeo è vista come un passo strategico per rendere i mercati finanziari più trasparenti, efficienti e attrattivi per gli investitori globali, riducendo i costi del capitale e supportando la funzione dell’euro come valuta di riserva internazionale.

 

L’attuale configurazione del bilancio UE rappresenta un ulteriore ostacolo. "The EU’s annual budget is small, amounting to just over 1% of EU GDP," e la sua distribuzione risulta spesso frammentata e non allineata con le priorità strategiche. Questo limita la capacità dell’UE di finanziare progetti di scala sufficientemente ampia da avere un impatto rilevante sul panorama economico europeo. Inoltre, l’approccio conservativo nei confronti del rischio riduce l’efficacia degli strumenti di condivisione del rischio come il programma InvestEU.

 

Un aspetto fondamentale riguarda il ruolo delle pensioni e la necessità di uno sviluppo più robusto dei fondi pensione privati in Europa. Attualmente, "the level of pension assets in the EU was only 32% of GDP while in the US total assets amounted to 142% of GDP". Questo gap evidenzia un’opportunità persa per mobilizzare capitali a lungo termine verso investimenti produttivi, riducendo la dipendenza dal debito bancario e stimolando un maggiore sviluppo economico.

 

Strategicamente, le aziende europee devono considerare come queste dinamiche influiscano sulla loro capacità di accedere al capitale necessario per espandere le operazioni e investire in innovazione. In particolare, la creazione di un contesto finanziario più integrato e meno dipendente dai canali tradizionali potrebbe facilitare l’accesso a fonti di finanziamento più adatte alle esigenze delle imprese moderne, come il venture capital e il private equity, che sono fondamentali per il supporto delle start-up e delle PMI innovative.

 

Riforme strutturali per un mercato dei capitali integrato nell'UE

Dall’analisi mergono diversi passaggi chiave che evidenziano come l'Unione Europea possa mobilitare risorse finanziarie private e pubbliche su larga scala. Tra questi, risulta essenziale la creazione di un vero Capital Markets Union (CMU) e il rafforzamento del ruolo dell'European Securities and Markets Authority (ESMA). "To unlock private capital, the EU must build a genuine Capital Markets Union (CMU) supported by a stronger pension." Questo indica una direzione strategica cruciale: per sbloccare capitali privati, l'UE deve costruire un'unione dei mercati dei capitali autentica, supportata da un sistema pensionistico più robusto. La proposta di trasformare l'ESMA in un regolatore unico per i mercati dei titoli UE, simile alla SEC statunitense, rappresenta un passo verso la centralizzazione e la riduzione delle frammentazioni normative tra i Paesi membri.

 

Un'altra area di intervento rilevante riguarda l'armonizzazione delle normative sull'insolvenza, fondamentale per rimuovere le frammentazioni create dalle differenze nelle gerarchie dei creditori, oltre all'eliminazione degli ostacoli fiscali agli investimenti transfrontalieri. Questi interventi mirano non solo a semplificare le operazioni, ma anche a creare un'infrastruttura finanziaria più integrata e meno vulnerabile agli shock localizzati. L'idea di una piattaforma unica per la controparte centrale (CCP) e per il deposito centrale dei titoli (CSD) è ambiziosa ma cruciale per una maggiore efficienza operativa. "Ultimately, the EU should aim to create a single central counterparty platform (CCP) and a single central securities depository (CSD) for all securities trades."

 

In questo contesto, si evidenzia anche la necessità di rafforzare il canale tra il risparmio delle famiglie e gli investimenti produttivi, attraverso prodotti di risparmio a lungo termine come le pensioni, replicando modelli di successo già presenti in alcuni Stati membri. Ciò potrebbe rappresentare una leva significativa per aumentare il flusso di fondi nei mercati dei capitali, riducendo la dipendenza dal sistema bancario per il finanziamento dell'economia reale. La rinascita della cartolarizzazione e il completamento dell'Unione Bancaria rappresentano ulteriori pilastri per aumentare la capacità di finanziamento del settore bancario, rendendolo più competitivo su scala internazionale, specialmente in vista della possibile implementazione di Basilea III. "This report recommends that the Commission makes a proposal to adjust prudential requirements for securitised assets."

 

Un altro punto cruciale è la riforma del bilancio dell'UE per aumentarne l'efficienza e il focus, orientandolo verso progetti strategici di valore aggiunto comune. "The EU budget should be reformed to increase its focus and efficiency, as well as being better leveraged to support private investment." Questo implica non solo una riorganizzazione dei programmi di finanziamento, ma anche un potenziamento della flessibilità di bilancio per consentire la riallocazione delle risorse in funzione delle esigenze emergenti. La creazione di un “Competitiveness Pillar” all'interno del bilancio UE potrebbe fornire il necessario supporto finanziario per colmare il gap di investimenti nelle tecnologie scalabili e nelle capacità manifatturiere critiche, come quelle legate alla clean tech.

 

Infine, il rapporto suggerisce l'emissione regolare di asset comuni sicuri per finanziare progetti di investimento congiunti tra gli Stati membri, rafforzando così l'integrazione dei mercati dei capitali europei. "Finally, the EU should move towards regular issuance of common safe assets to enable joint investment projects among Member States and to help integrate capital markets." Questa mossa, ispirata al modello del programma Next Generation EU (NGEU), potrebbe non solo facilitare investimenti cruciali in settori come la ricerca e l'innovazione, ma anche portare alla creazione di un mercato più profondo e liquido di obbligazioni UE, sostenendo ulteriormente l'integrazione finanziaria del continente.

 

La prospettiva strategica di questi interventi suggerisce che per le imprese l'accesso a capitali più integrati e la riduzione delle barriere normative e fiscali potrebbero portare a una riduzione dei costi di finanziamento e a un contesto più competitivo. Inoltre, l'armonizzazione delle normative e il miglioramento delle infrastrutture finanziarie potrebbero creare un ambiente più stabile e prevedibile, favorendo piani di investimento a lungo termine. Le aziende che sapranno adattarsi e posizionarsi in questo nuovo contesto integrato avranno l'opportunità di espandere le loro operazioni a livello transfrontaliero con maggiore facilità, sfruttando al meglio le sinergie offerte da un mercato unico più robusto e con minori frizioni.

 

Accelerare la governance UE per competere con Stati Uniti e Cina

I passaggi chiave sono "successful industrial policies today require strategies that span investment, taxation, education, access to finance, regulation, trade and foreign policy, united behind an agreed strategic goal" e "the upshot is a legislative process with an average time of 19 months to agree new laws... which even then does not deliver results at the level and pace EU citizens expect".

 

Questo mette in luce una delle sfide principali per l'Unione Europea: la necessità di un approccio coordinato e integrato a livello politico, capace di sostenere una strategia industriale complessa e multidimensionale. In un contesto globale dove le dinamiche si evolvono rapidamente, l'UE soffre di una lentezza strutturale nel processo decisionale che compromette la sua capacità di competere efficacemente con altre potenze globali, come Stati Uniti e Cina, che operano in modo molto più agile.

 

La riflessione strategica si concentra sulla tensione tra la necessità di cambiare i Trattati europei, per adattare l'UE alle sfide contemporanee, e la difficoltà politica di raggiungere un consenso su queste modifiche. Anche in assenza di un cambiamento formale dei Trattati, è possibile implementare miglioramenti significativi attraverso aggiustamenti mirati, ma è evidente che tali misure devono mirare a "accelerating EU action and integration" e "simplifying rules" per evitare che l'UE rimanga intrappolata nella sua complessità interna.

 

Un esempio illuminante è il confronto tra l'UE e gli Stati Uniti nella gestione della transizione verso un'economia verde. Mentre l'UE discute ancora le modalità di implementazione di politiche come il Green Deal, gli Stati Uniti hanno rapidamente messo in atto l'Inflation Reduction Act, che prevede ingenti investimenti in energia pulita e tecnologie sostenibili. Questo approccio rapido e deciso ha permesso agli Stati Uniti di attrarre investimenti globali e consolidare la loro leadership nel settore, mentre l'Europa rischia di perdere terreno a causa dei suoi processi decisionali complessi e lenti.

 

Per le imprese europee, la lentezza del processo legislativo non è solo un fattore di incertezza, ma un ostacolo concreto alla competitività. La capacità di innovare e di rispondere tempestivamente alle esigenze del mercato globale è fondamentale per il successo in un'economia sempre più interconnessa e digitalizzata. Se l'UE non riuscisse a velocizzare i suoi processi e a rendere più coerente e integrato il suo approccio politico, le aziende europee potrebbero trovarsi in svantaggio competitivo rispetto ai loro omologhi di altre regioni del mondo.

 

Pertanto, è cruciale che l'UE lavori non solo per semplificare e accelerare i processi decisionali, ma anche per costruire un consenso più ampio su obiettivi strategici comuni che possano unire gli sforzi in settori chiave come l'industria, l'innovazione tecnologica e la sostenibilità ambientale. Solo attraverso un'azione coordinata e una governance più efficace, l'Europa potrà affrontare con successo le sfide del futuro e mantenere il suo ruolo di protagonista sulla scena globale.

 

Razionalizzazione UE, meno burocrazia e maggiore efficienza nelle priorità strategiche

I passaggi chiave sono i seguenti: "The report recommends establishing a new ‘Competitiveness Coordination Framework’ to foster EU-wide coordination in priority areas, replacing other overlapping coordination instruments." e "Not only would this rationalisation help to organise and focus the EU’s activities, it would also represent a major simplification exercise for both EU and national administrations." Questi passaggi evidenziano l'intento di razionalizzare gli strumenti di coordinamento dell'Unione Europea per migliorare l'efficacia delle politiche strategiche, riducendo la burocrazia e concentrando le risorse sugli obiettivi prioritari.

 

La proposta di un nuovo Competitiveness Coordination Framework appare come una risposta alla frammentazione e inefficienza degli attuali meccanismi di coordinamento dell'UE, come il Semestre Europeo e i Piani Nazionali per l'Energia e il Clima, spesso percepiti come processi eccessivamente burocratici e poco efficaci. Questo framework si propone di sostituire tali strumenti con un approccio più snello e mirato, focalizzandosi su priorità strategiche definite dal Consiglio Europeo all'inizio di ogni ciclo politico. Questo potrebbe rappresentare un cambiamento significativo nella governance dell'UE, orientato a promuovere una maggiore competitività a livello comunitario.

 

Un aspetto cruciale è la creazione di Competitiveness Action Plans per ciascuna priorità strategica, con obiettivi ben definiti e un coinvolgimento esteso di stakeholders, inclusi Stati membri, esperti tecnici, settore privato e istituzioni europee. Questa inclusività potrebbe facilitare una migliore implementazione delle politiche, coinvolgendo direttamente le parti interessate e garantendo che le azioni siano allineate alle esigenze del mercato e alle realtà economiche dei vari settori.

 

Inoltre, la raccomandazione di un consolidamento delle risorse finanziarie dell'UE, orientandole verso beni pubblici critici per le priorità strategiche, evidenzia un approccio più coordinato nell'allocazione dei fondi. L'idea di creare un "Competitiveness Pillar" nel prossimo Quadro Finanziario Pluriennale, con risorse dedicate all'implementazione degli Action Plans, potrebbe rafforzare il focus dell'UE su progetti ad alto impatto e valore aggiunto europeo.

 

L'invito a un maggiore rigore nell'applicazione del principio di sussidiarietà e a un esercizio di "auto-restrizione" da parte delle istituzioni dell'UE rappresenta un riconoscimento dell'importanza di limitare l'eccessiva regolamentazione centrale e di rispettare le competenze nazionali. Questo potrebbe non solo ridurre l'onere normativo, ma anche aumentare l'ownership delle politiche a livello nazionale, migliorando l'efficacia complessiva delle azioni dell'UE.

 

Un esempio reale che illustra i vantaggi di una simile ristrutturazione potrebbe essere visto nelle recenti iniziative industriali europee, come l'IPCEI (Importanti Progetti di Comune Interesse Europeo) per le batterie e la microelettronica, che hanno mostrato come il coordinamento transnazionale e il sostegno finanziario mirato possano accelerare l'innovazione e la competitività europea in settori strategici. La proposta di un nuovo Competitiveness IPCEI, che permetta aiuti di Stato per progetti infrastrutturali industriali transfrontalieri, potrebbe espandere queste opportunità, facilitando la collaborazione tra Stati membri e settori industriali chiave.

 

In sintesi, la proposta di riforma e semplificazione delle politiche di coordinamento dell'UE riflette una necessità critica di adattare le strutture europee alle sfide economiche globali, promuovendo una governance più efficiente, inclusiva e orientata ai risultati. Questo approccio potrebbe non solo migliorare la competitività dell'UE, ma anche ridurre il carico amministrativo per le imprese, consentendo loro di concentrarsi sull'innovazione e sulla crescita in un mercato sempre più integrato e dinamico.

 

Voto a maggioranza qualificata in UE per decisioni più veloci e efficaci

I passaggi chiave sono: "Council votes subject to qualified majority voting (QMV) should be extended to more areas" e "The regulatory burden on European companies is high and continues to grow, but the EU lacks a common methodology to assess it". Questi elementi evidenziano due aspetti critici della governance e della regolamentazione europea: l’inefficienza decisionale dovuta all’unanimità richiesta in molte aree, e il crescente onere normativo che grava sulle imprese europee, soprattutto quelle di piccola e media dimensione.

 

L'estensione del voto a maggioranza qualificata (QMV) potrebbe accelerare significativamente il processo decisionale dell'Unione Europea, superando i blocchi imposti dai veti nazionali. Questo potrebbe sbloccare una serie di iniziative legislative cruciali che attualmente sono ostacolate da divergenze politiche interne. Tuttavia, è necessario considerare le implicazioni politiche di una tale mossa. Da un lato, una maggiore agilità decisionale potrebbe rafforzare la capacità dell'UE di rispondere rapidamente alle sfide globali, come la digitalizzazione e la transizione verde. Dall'altro, rischia di accentuare il divario tra gli Stati membri, creando tensioni interne che potrebbero minare la coesione dell'Unione a lungo termine.

 

Un esempio concreto di dove il QMV potrebbe fare la differenza è nella regolamentazione delle grandi piattaforme digitali. In un contesto dove gli interessi nazionali divergono notevolmente, il ricorso all'unanimità rende difficile adottare normative efficaci che possano contrastare i comportamenti anticoncorrenziali di queste piattaforme. Una decisione a maggioranza potrebbe permettere all'UE di implementare misure più tempestive e incisive, proteggendo così il mercato unico digitale europeo.

 

D'altro canto, il crescente peso regolamentare rappresenta una minaccia reale alla competitività delle imprese europee, soprattutto delle PMI. La mancanza di una metodologia uniforme per valutare l'impatto delle nuove normative rende difficile per le imprese pianificare e adattarsi ai cambiamenti, aggravando il già pesante carico burocratico. Inoltre, la tendenza degli Stati membri a “gold-plate” le direttive UE, ossia ad aggiungere requisiti nazionali più stringenti durante la trasposizione, amplifica la frammentazione del mercato interno, creando barriere che ostacolano la libera circolazione dei beni e servizi.

 

L'idea di istituire un Vicepresidente della Commissione per la Semplificazione è particolarmente interessante. Questo ruolo potrebbe diventare cruciale per coordinare una revisione sistematica delle normative esistenti e per assicurare che le nuove leggi siano concepite tenendo conto della loro sostenibilità e del loro impatto sull'innovazione e la competitività. La proposta di adottare tecnologie avanzate, come l’intelligenza artificiale, per ridurre i costi di conformità, rappresenta un'opportunità significativa per modernizzare il rapporto tra le imprese e la burocrazia europea, ma la sua implementazione richiede un forte impegno politico e un coordinamento efficace tra le istituzioni europee e nazionali.

 

In conclusione, queste proposte riflettono una tensione intrinseca nella costruzione europea: da un lato, la necessità di una maggiore integrazione per affrontare le sfide globali, e dall’altro, il bisogno di preservare la diversità e l'autonomia degli Stati membri. Riuscire a bilanciare queste due esigenze sarà fondamentale per il futuro dell'Unione Europea.

 

Conclusioni

La relazione di Draghi evidenzia un quadro complesso ma cruciale per il futuro dell’Europa, segnato da sfide strutturali, economiche e geopolitiche che richiedono un ripensamento radicale delle strategie attuali. A un livello più profondo, emerge una tensione tra l’ambizione europea di essere un leader globale in innovazione, sostenibilità e autonomia strategica, e le barriere sistemiche che ne ostacolano la realizzazione.

 

Un aspetto non immediatamente evidente ma fondamentale è la necessità di un cambiamento culturale nelle aziende europee: passare da un approccio reattivo a uno anticipativo e sistemico. La frammentazione e la lentezza decisionale europea non sono solo questioni di governance, ma riflettono una mentalità diffusa di scarsa propensione al rischio e un’eccessiva dipendenza da regole e protezioni. Questo contrasta con la necessità di una maggiore audacia nell'investire in tecnologie dirompenti e di creare ecosistemi in grado di attrarre e trattenere i migliori talenti, che attualmente migrano verso contesti più dinamici e favorevoli come gli Stati Uniti.

 

La riflessione che emerge è che l’Europa deve superare una visione lineare e incrementale del progresso industriale per abbracciare una logica più esponenziale e interconnessa. Non si tratta solo di colmare gap tecnologici o di ridurre costi energetici, ma di ridefinire cosa significa competitività in un mondo che si muove verso una nuova era industriale dominata da automazione, intelligenza artificiale, tecnologie verdi e una crescente complessità geopolitica.

 

Le aziende europee, quindi, dovrebbero non solo adeguarsi alle direttive politiche ma anche guidare con visione il cambiamento, interpretando le sfide come opportunità per ridisegnare il loro ruolo sul mercato globale. Devono posizionarsi come attori chiave in una rete globale, sfruttando non solo le proprie capacità produttive ma anche influenzando attivamente gli standard normativi, creando consorzi internazionali che superino le barriere nazionali e settoriali.

 

Infine, la questione demografica, spesso trattata come un semplice problema di diminuzione della forza lavoro, dovrebbe essere vista come un catalizzatore per ripensare radicalmente i modelli di lavoro e produttività. Automazione e intelligenza artificiale non dovrebbero solo compensare la mancanza di personale ma riprogettare i processi in modo da valorizzare le competenze umane in nuovi modi. È un invito a immaginare non solo come sopravvivere in un contesto di cambiamenti, ma come prosperare adottando un nuovo paradigma di collaborazione uomo-macchina, dove l’Europa può davvero distinguersi come un modello di innovazione inclusiva e sostenibile.

 

In definitiva, la vera sfida non è solo economica o tecnologica, ma riguarda l’identità stessa dell’Europa come potenza industriale. È una sfida esistenziale che richiede coraggio, una visione di lungo termine e una volontà condivisa di innovare non solo nei prodotti, ma anche nei processi e nelle politiche, andando oltre il semplice confronto con Stati Uniti e Cina, e puntando a definire un proprio percorso unico e distintivo.

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