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Prompt Engineering nei modelli linguistici: tecniche, configurazioni e prospettive per l’AI generativa

I sistemi basati su modelli linguistici stanno assumendo un ruolo sempre più determinante nella gestione di dati, analisi testuali e ricerche contestuali. Dai semplici chatbot alle piattaforme di AI generativa più complesse, il Prompt Engineering, ovvero l’insieme di istruzioni che guida la macchina, può fare la differenza tra risultati confusi e risposte di elevata precisione. Comprendere come configurare e progettare correttamente un prompt significa gettare le basi di un approccio professionale alle nuove soluzioni tecnologiche, con evidenti ricadute strategiche per imprenditori e dirigenti aziendali. Di seguito verranno esposte alcune tecniche avanzate di Prompt Engineering per ottenere il meglio dagli algoritmi di generazione testuale.


7.       Conclusioni

8.       FAQ


Prompt Engineering
Prompt Engineering

Prompt Engineering e configurazioni di output negli LLM

L’adozione di Large Language Model (LLM) sta crescendo in modo esponenziale da quando, nel febbraio 2025, una serie di iniziative ha mostrato il potenziale di modelli addestrati su enormi quantità di dati testuali. Un LLM genera il token successivo in una sequenza di testo basandosi sulla probabilità appresa durante la fase di training. Questo semplice principio apre però a possibilità sorprendenti, che vanno dall’analisi semantica fino alla stesura di codice.


Un aspetto chiave riguarda la configurazione dell’output dell’LLM. Alcuni parametri di controllo, come temperature, top-K e top-P, permettono di regolare il livello di “creatività” o di “rigidità” della risposta generata. Per chiarire l’importanza di tali impostazioni, si consideri che la temperature (indicata come T in molte pubblicazioni) incide sulla forma della distribuzione di probabilità delle parole. In modo semplificato, se un token ha un logit pari a logits_i, la probabilità normalizzata di emettere quel token può essere rappresentata (in formato ASCII) dalla formula:

p_i = exp(logits_i / T) / Σ_j exp(logits_j / T)


Se T è bassa (ad esempio 0), l’output sarà più deterministico, poiché il modello sceglierà sempre il token con probabilità più alta. Se al contrario T è alta, la previsione risulta più variegata e aperta a soluzioni inaspettate. Da un punto di vista strategico, i dirigenti che desiderano risposte uniformi e prive di “sorprese” scelgono temperature vicine a 0, mentre chi cerca soluzioni più creative tende a impostare valori elevati, come 0.9 o anche superiori.

Un ulteriore strumento è top-K, che include soltanto i token con le K probabilità più alte. In modo simile, top-P (o nucleus sampling) considera i token la cui somma cumulativa di probabilità non supera la soglia P. Impostare top-K = 1 equivale a una scelta deterministica (viene selezionata solo l’opzione più probabile), mentre top-P = 1 non esclude virtualmente alcun token, favorendo la varietà delle risposte.


Un’eccessiva libertà può però esporre al rischio di generare contenuti ripetitivi: nei modelli linguistici si può incorrere nel cosiddetto “repetition loop bug”, una sorta di blocco in cui il modello si limita a ripetere i medesimi frammenti testuali. Perciò è indispensabile regolare con attenzione i parametri di campionamento, bilanciando originalità e coerenza. Non esiste un valore universale: in alcune sperimentazioni con temperature 0.2, top-P 0.95 e top-K 30 si sono ottenuti contenuti piuttosto fluidi senza penalizzare la focalizzazione sul tema richiesto.


La stessa flessibilità emerge nella scelta del numero massimo di token generabili, fattore che incide sul costo computazionale e sul tempo di elaborazione. Definire un limite troppo elevato può dilatare i tempi di risposta e determinare spese più alte in termini di risorse, mentre fissarne uno eccessivamente ridotto interrompe l’uscita del modello, troncando spesso la frase.


Queste impostazioni, se ben padroneggiate, possono portare notevoli vantaggi in contesti aziendali. Un amministratore delegato potrebbe, ad esempio, optare per un output “breve e conciso”, limitando il numero di token e mantenendo la temperature vicina allo zero. In alternativa, un settore R&S che sperimenta idee innovative potrebbe preferire configurazioni più libere. In ogni caso, la capacità di modulare tali parametri rappresenta una leva competitiva per chi desidera estrarre valore dalle tecnologie di AI generativa nel proprio business.


Tecniche fondamentali di Prompt Engineering: Zero-Shot, One-Shot e Few-Shot

Entrando nel vivo delle strategie di prompting, una prima distinzione si basa sul numero di esempi forniti al modello: zero-shot, one-shot e few-shot. Questa classificazione rappresenta la base per ottenere risposte di qualità e stabilire un dialogo chiaro con il modello.


Nel zero-shot ci si limita a istruire l’LLM su cosa fare, senza aggiungere esempi di riferimento. Ad esempio, si potrebbe semplicemente chiedere: «Classifica questa recensione cinematografica come POSITIVA, NEGATIVA o NEUTRALE». In assenza di esempi, il modello dovrà basarsi unicamente sulla comprensione interna acquisita durante il training.


Quando il risultato appare poco chiaro o confusionario, si passa alla forma one-shot, con un singolo esempio dimostrativo per illustrare la struttura desiderata della risposta. Se la complessità della richiesta è più alta, si arriva a few-shot, includendo vari esempi diversi per dimostrare la varietà di input e la forma dell’output atteso. In una classificazione di sentiment per recensioni di film, includere esempi POSITIVO, NEGATIVO e NEUTRALE (anche in ordine non lineare) aiuta il modello a generalizzare e a non fossilizzarsi su una sequenza predefinita.


Dal punto di vista manageriale, comprendere questa distinzione facilita l’implementazione di chatbot o sistemi di supporto decisionale. Un dirigente che desidera risposte specifiche su determinati prodotti potrebbe fornire alcune recensioni esempio (few-shot) per istruire l’LLM a riconoscere caratteristiche chiave o parole ricorrenti. Un consulente IT, invece, potrebbe preferire zero-shot per richieste veloci, sacrificando un margine di accuratezza in favore della rapidità di configurazione.


Nel mondo del prompt engineering, scegliere la tecnica più adeguata richiede valutazioni sulle performance desiderate. Ogni metodo apporta vantaggi e limitazioni:• Zero-shot semplifica la progettazione del prompt ma può risultare in risposte meno precise.• One-shot fornisce un modello di riferimento minimo, spesso sufficiente per compiti moderatamente complessi.• Few-shot richiede più spazio testuale, aumentando i costi e i tempi di elaborazione, ma potenzia l’affidabilità dei risultati.


Uno sguardo ai test effettuati su piattaforme come Gemini, GPT o modelli open source (per esempio Gemma o LLaMA) mostra che, all’aumentare del numero di esempi forniti, si ottiene in genere una stabilità superiore delle risposte. Tuttavia, gli stessi risultati indicano che superare una certa soglia di esempi non porta ulteriori benefici e anzi peggiora la velocità di generazione. Le aziende che desiderano ottimizzare i costi dovrebbero valutare con attenzione il compromesso tra lunghezza del prompt e accuratezza, definendo una soglia oltre la quale i vantaggi sono marginali.


Approcci contestuali e definizione dei ruoli nel Prompt Engineering

Oltre al numero di esempi, incide il modo in cui si contestualizza la richiesta. Da una parte, abbiamo il system prompting, un approccio con cui si stabiliscono istruzioni generali o il formato d’uscita (ad esempio, “Rispondi solo con stringhe JSON valide”). Dall’altra, esistono metodi più focalizzati, come contextual prompting e role prompting.


Nel contextual prompting, il prompt fornisce informazioni aggiuntive pertinenti, così che l’LLM possa comprendere il “quadro” tematico in modo più ricco. Si pensi a un’impresa che voglia spiegare a un potenziale cliente il funzionamento del proprio CRM, aggiungendo al prompt i dettagli sul flusso di vendita o sulla struttura gerarchica interna. La risposta dell’LLM risulterà meglio orientata, perché inserita in un contesto più preciso.


Il role prompting ha invece lo scopo di imporre uno stile o un’identità al modello. Chiedere a un LLM di “rispondere come un professore universitario di letteratura medievale” oppure di “comportarsi come un consulente finanziario formale” modifica in modo sensibile tono e contenuti del testo in uscita. Dal punto di vista aziendale, questa tecnica si rivela utile per mantenere coerenza di brand: un servizio di assistenza clienti potrebbe impostare un ruolo di “supporto cordiale”, mentre un report destinato a un CFO potrebbe adottare un registro linguistico più specialistico e prudente.


Le differenze tra system, contextual e role prompting possono sembrare sfumate, ma in realtà ciascun metodo ha effetti distinti su stile, precisione e pertinenza della risposta. Un dirigente interessato a soluzioni di AI generativa per la propria azienda dovrebbe sperimentare, testando come le diverse forme di prompting interagiscono con i parametri di generazione (temperature, top-K e top-P) e con la quantità di esempi forniti (da zero-shot a few-shot).


In termini di implementazione, si registrano buoni risultati quando si combinano system prompting e role prompting in modo sapiente. Ad esempio, fornendo all’inizio una macro-istruzione per definire il formato in cui i dati devono essere restituiti, e successivamente assegnando un ruolo specifico (come “analista di mercato”) per rendere i contenuti più specialistici. Tale combinazione risulta particolarmente efficace anche per gestire aspetti di sicurezza: aggiungendo una clausola in cui si chiede al modello di mantenere un linguaggio rispettoso, si può limitare la generazione di testi potenzialmente inappropriati.


Catene di ragionamento e metodi auto-correttivi nel Prompt Engineering

Le tecniche di prompting menzionate finora offrono un buon controllo sul risultato, ma in situazioni complesse può emergere la necessità di generare e valutare passaggi logici intermedi. Qui entrano in gioco metodi come la chain of thought (CoT), la self-consistency, la tree of thoughts (ToT) e l’approccio ReAct (reason & act).


Con la chain of thought, si invita esplicitamente il modello a mostrare i propri passaggi logici nel risolvere un problema. Se si chiede un calcolo matematico, invece di ottenere soltanto il risultato numerico, si domandano anche le spiegazioni intermedie (“Mostra il ragionamento passo dopo passo”). Ciò incrementa l’accuratezza, in quanto il modello “riflette” in modo più strutturato, producendo risposte che spesso risultano più affidabili nei test. Dall’altra parte, la CoT richiede più token e quindi risorse computazionali maggiori.


Il metodo self-consistency effettua molteplici generazioni “parallele” dello stesso compito, con impostazioni di campionamento più libere (temperature più alta), per poi scegliere la risposta più ricorrente. Questa strategia, benché dispendiosa in termini di costo computazionale, riduce gli errori logici selezionando la soluzione più plausibile tra diverse catene di ragionamento. Sul piano aziendale, potrebbe essere applicata in settori critici — per esempio in analisi finanziaria — dove un errore potrebbe compromettere la decisione di investimento.


Un’evoluzione ancora più articolata è la tree of thoughts (ToT). Invece di procedere linearmente passo dopo passo (CoT), si generano alberi di percorsi di ragionamento. Ogni ramo rappresenta una diversa possibile strategia risolutiva, e si procede scartando le linee di pensiero meno pertinenti. L’approccio ToT ha mostrato risultati notevoli su quesiti complessi, in cui è fondamentale esplorare alternative prima di convergere su una risposta definitiva.


La tecnica ReAct combina fasi di riflessione e azione. Il modello non si limita a illustrare la catena di pensieri: “agisce” consultando, ad esempio, un’API di ricerca esterna e integrando i risultati nel proprio ragionamento. Questa capacità di interagire con risorse aggiuntive rende ReAct particolarmente interessante per applicazioni enterprise, dove i dati utili sono spesso distribuiti in vari sistemi e database. Immaginando un ambiente di e-commerce che debba rispondere a domande complesse sui prodotti (magari controllando lo stock effettivo su un server e un listino prezzi su un altro), ReAct fornisce un meccanismo per orchestrare le informazioni in tempo reale.


In tutti questi casi, la prudenza è d’obbligo. Se da un lato catene di ragionamento e metodi auto-correttivi rendono l’output più affidabile, dall’altro generano un incremento del numero di token. Vale a dire più costo computazionale e tempi di risposta talvolta superiori. Pertanto, le aziende dovranno selezionare le strategie più adeguate in base alla criticità del compito. Dove l’errore è meno tollerato (ad esempio, in algoritmi di risk assessment), tecniche come self-consistency e ReAct possono offrire garanzie maggiori. In settori dove la rapidità è fondamentale, una CoT potrebbe rallentare troppo il flusso di lavoro.


Prompt Engineering automatizzato e integrazione con l’AI generativa

L’idea di ottimizzare il prompt in modo manuale può risultare impegnativa, perché richiede numerosi tentativi, prove e revisioni. È in tale scenario che si affaccia la prospettiva di un Automatic Prompt Engineering (APE). Questa metodologia punta a generare prompt specifici mediante l’uso di uno stesso modello, che crea e valuta istruzioni in modo iterativo. Il modello, in pratica, “scrive prompt che generano prompt”, cercando di migliorare progressivamente la qualità dell’output finale.


Sebbene la complessità di APE implichi calcoli più onerosi, la sua applicazione riduce l’intervento umano in compiti ripetitivi come la creazione di set di istruzioni per chatbot verticali. In una grande azienda che desideri lanciare un servizio di assistenza clienti basato su AI generativa, l’impiego di APE può automatizzare la raccolta e la generazione di varianti di risposta, testandone l’efficacia e selezionando la migliore.


È un processo iterativo:

  1. Il modello genera diverse versioni di prompt.

  2. Ognuna viene valutata su un campione di richieste reali o simulate.

  3. Si seleziona il prompt con il punteggio più elevato.


In tal modo, l’azienda risparmia tempo e migliora la qualità complessiva delle interazioni, soprattutto nei casi in cui occorre maneggiare una grande varietà di input. In parallelo, un altro ambito di grande utilità è il code prompting, ossia la capacità dei modelli di generare o rivedere codice sorgente. L’LLM può ricevere un frammento di codice incompleto, tradurlo da un linguaggio all’altro oppure persino individuare bug e proporre correzioni. Questo risulta prezioso, per esempio, nelle fasi iniziali di un progetto software in cui i team desiderano prototipare nuove funzionalità.


La gestione dell’output in formato JSON si è confermata una strategia efficace per vincolare la struttura dei dati generati e ridurre il rischio di risposte prive di logica. In alcuni test, la conversione del testo in JSON ha limitato il fenomeno delle “allucinazioni”, spingendo il modello a focalizzarsi su nodi e valori coerenti con la struttura indicata. Non mancano, però, situazioni in cui l’output JSON risulta corrotto o tagliato per la lunghezza eccessiva. Esistono librerie di “riparazione” — una di esse nota come json-repair — utili per correggere in automatico le sezioni mancanti o ridondanti.


Una frontiera ulteriore è costituita dalle funzionalità multimodali, in cui immagini e audio si affiancano al testo. Tuttavia, molte implementazioni correnti si concentrano soprattutto sul testo, e l’integrazione di altre modalità resta spesso sperimentale. In questo scenario, servizi specializzati come Rhythm Blues AI, rivolti a CEO e dirigenti, offrono audit e pacchetti formativi incentrati sull’uso concreto dei modelli, proponendo percorsi modulari che toccano tematiche di governance, etica e strategie di ROI. L’impulso a sperimentare e a strutturare efficacemente l’uso dell’intelligenza artificiale nelle imprese può trovare in tali servizi una guida qualificata, purché la scelta di soluzioni automatizzate sia sempre accompagnata da un’accurata valutazione dei rischi.


Implicazioni pratiche, esempi e prospettive di collaborazione nel Prompt Engineering

L’adozione di strategie di prompt engineering ben strutturate può cambiare radicalmente la gestione dei processi interni. In campo manageriale, l’impiego di catene di ragionamento (CoT) e meccanismi di verifica (self-consistency o ReAct) consente di demandare alcune attività analitiche al modello, liberando risorse umane per incarichi di più alto valore. Nel mondo della programmazione, un sistema di code prompting opportunamente istruito è in grado di generare script, tradurre funzioni da un linguaggio all’altro o diagnosticare errori logici.


Un esempio concreto emerge dall’area marketing. Se un’azienda desidera generare in modo rapido descrizioni di prodotti o campagne pubblicitarie, potrebbe ricorrere al few-shot prompting con esempi accuratamente scelti per incarnare lo stile comunicativo del brand. All’interno del prompt si specifica che l’uscita deve presentare paragrafi brevi, magari con un tono formale ma accattivante. Il modello, che “imita” gli esempi forniti, restituirà testi coerenti con l’immagine aziendale. L’aspetto interessante è che l’iterazione sulle configurazioni del modello (temperature, top-K, top-P) permette di bilanciare la creatività testuale con la necessità di rimanere saldamente ancorati alle informazioni reali.


In altri scenari, come la valutazione di e-mail sospette, si può ricorrere a un prompt che obbliga il modello a “ragionare” sui possibili rischi, generando un output più critico. Qui si dimostra l’efficacia della chain of thought: il modello, anziché rispondere in modo secco, spiega come i passaggi di ragionamento lo conducono a classificare un contenuto come importante o non importante. Nei test con temperature medio-alte è emerso che, a volte, l’LLM può fornire risposte divergenti. Da qui l’utilità dei metodi di self-consistency, i quali generano più risposte parallele per poi scegliere la più frequente o convincente, riducendo la casualità del risultato.


Si percepisce come l’integrazione tra best practice e modelli adeguati dia luogo a veri e propri ecosistemi basati sul testo, impiegabili non solo per la creazione di contenuti, ma anche per l’automazione di flussi di lavoro. Pianificare, documentare e salvare i vari tentativi di prompting diventa una parte essenziale di questo ecosistema. Ogni spostamento dei parametri — o l’aggiornamento del modello (si pensi a un passaggio da Gemini a GPT, o all’adozione di un open source come LLaMA) — richiede infatti un nuovo collaudo. La tracciabilità di tali esperimenti aiuta il management a comprendere in che misura i risultati siano stati migliorati o, al contrario, peggiorati.


Nelle strategie più avanzate, la definizione di “ruoli” (role prompting) può tornare utile anche per creare chatbot che simulano diverse figure professionali: un singolo servizio potrebbe fornire, a seconda del contesto, le risposte di un avvocato, un medico o un consulente finanziario, con stili e competenze specialistiche. Il tutto, ovviamente, deve sottostare ai vincoli etici e normativi, che diventano centrali quando la macchina potrebbe incidere sulle decisioni aziendali.


Sul piano delle collaborazioni, alcuni manager scelgono di affiancarsi a consulenti o partner specializzati nella messa a terra di soluzioni AI generativa, per evitare sperimentazioni dispersive e costose. In tal senso, è interessante la proposta di una call gratuita di 30 minuti su questo calendario online dove si possono valutare progetti formativi o di audit iniziale. L’obiettivo è delineare le aree in cui un LLM può agire con successo, stimando tempi, costi e risparmi per l’organizzazione.


Conclusioni

Le riflessioni esposte evidenziano come la cura nella progettazione dei prompt risulti essenziale per sfruttare in pieno le potenzialità delle tecnologie basate sui modelli linguistici. Benché l’innovazione proceda rapidamente e nuovi framework si affaccino sul mercato, permangono elementi di incertezza: la questione etica, i costi di adozione, l’accuratezza delle risposte su compiti specialistici e la reale sostenibilità di certe funzioni “creative”. Un confronto attento con lo stato dell’arte indica che le tecniche di catena di ragionamento o di auto-correzione, già presenti anche in altre piattaforme e in modelli open source, offrono risultati simili, sebbene con differenze metodologiche e di setup.


Per gli imprenditori e i dirigenti interessati a integrare queste soluzioni nel proprio ecosistema, la chiave sta nella valutazione strategica dei benefici tangibili: maggiore efficienza, riduzione dei tempi e potenziamento dell’analisi dei dati. Va però evitato il ricorso a toni eccessivamente enfatici: la tecnologia può offrire un reale vantaggio competitivo, ma richiede sempre una governance attenta e la disponibilità di figure capaci di orchestrare l’insieme di modelli, parametri e prompt. Sperimentare con moderazione e documentare ogni passo consentirà di capitalizzare al meglio le opportunità, minimizzando il rischio di fuorviare l’LLM o di generare contenuti inappropriati. Uno sguardo ponderato e aperto alle collaborazioni con partner esterni resta uno dei modi più efficaci per mettere in pratica in modo concreto, e non soltanto teorico, le potenzialità dell’AI generativa.


FAQ

1. Qual è la differenza tra temperature e top-K?

La temperature incide sulla probabilità relativa dei token, regolando il livello di casualità: a zero risposte più rigide, a valori più alti risposte creative. Il parametro top-K limita il numero di token candidati alla generazione, riducendo o ampliando la varietà degli output.


2. Perché usare esempi (few-shot) nei prompt?

Inserire esempi concreti aiuta il modello a comprendere meglio lo stile e il formato desiderati, migliorando la coerenza dell’output. Una volta stabilito il modello di riferimento, il sistema imita le linee guida e produce risposte più in linea con le aspettative.


3. Come si evitano ripetizioni indesiderate (repetition loop bug)?

Regolando opportunamente temperature, top-K e top-P, oppure usando tecniche come la catena di ragionamento per rendere il processo di generazione più strutturato. Impostare temperature a valori diversi da 0 e una soglia top-K adeguata aiuta a prevenire ripetizioni infinite.


4. La chain of thought rallenta le prestazioni?

Sì, perché richiede una maggiore produzione di token e un lavoro di analisi più approfondito. Tuttavia, questo approccio spesso migliora accuratezza e tracciabilità del ragionamento. La scelta va quindi commisurata alla complessità del compito e ai vincoli di tempo o budget.


5. È possibile integrare risorse esterne durante il prompting?

Con metodologie come ReAct, l’LLM può consultare un’API di ricerca o altre basi di dati, combinando fasi di ragionamento e azione. Questo rende possibile recuperare informazioni in tempo reale e offrire risposte ancora più pertinenti e aggiornate.


6. Come si prenota una consulenza iniziale con Rhythm Blues AI?

È sufficiente fissare un appuntamento gratuito di 30 minuti al link https://calendar.google.com/calendar/u/0/appointments/AcZssZ3eexqwmgoYCSqEQU_4Nsa9rvUYF8668Gp7unQ, per discutere le specifiche necessità aziendali e individuare strategie personalizzate.

 

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