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Immagine del redattoreAndrea Viliotti

McNeal: Tra intelligenza artificiale e creatività umana

McNeal: Tra intelligenza artificiale e creatività umana
McNeal: Tra intelligenza artificiale e creatività umana

Il dilemma di giudicare un'opera senza averla vista

Scrivere di un'opera teatrale senza averla vista è un'impresa complessa, soprattutto considerando che non sono un esperto di teatro né un critico teatrale. Le motivazioni che mi spingono a scrivere sono la passione professionale per l'intelligenza artificiale e il mio interesse per tutto quello che riguarda l'arte e le forme espressive, soprattutto se dirompenti. Come coach aziendale, mi affido alla precisione dei dati, alla profondità delle fonti e alla mia esperienza diretta per formare un'opinione critica. Nel caso di "McNeal", la nuova produzione di Ayad Akhtar attualmente in scena al Vivian Beaumont Theater di Broadway, devo fare affidamento esclusivamente sulle informazioni disponibili online. Ed è proprio da questa limitazione che nasce la mia riflessione: quanto è affidabile un giudizio su un'opera d'arte quando è filtrato da recensioni, interviste e articoli, senza la viva esperienza? Questo scenario non è forse un parallelo con il tema centrale di "McNeal", che esplora la mediazione della creatività attraverso strumenti esterni come l'intelligenza artificiale? Una verità mediata, una creatività filtrata, il contatto umano che si dissolve nella nube digitale.

 

La mediazione delle informazioni e il dover contare sulle esperienze altrui piuttosto che su una percezione personale diretta si inseriscono perfettamente nella narrazione di "McNeal". Questo processo di filtraggio rappresenta il rischio di non poter mai realmente cogliere l'essenza di un'opera. Questa riflessione ci porta a considerare anche l'influenza della tecnologia sulla percezione umana, un aspetto che si allinea con i temi centrali della produzione stessa. In un'era in cui le esperienze possono essere mediate da recensioni, intelligenze artificiali e contenuti digitali, la questione che sorge spontanea è quanto sia autentico il nostro rapporto con l'arte.

 

L'IA e il ruolo della creatività

Ayad Akhtar ha voluto esplorare in "McNeal" la collisione tra intelligenza artificiale e creatività artistica. Robert Downey Jr., nella sua prima apparizione su Broadway, interpreta Jacob McNeal, un autore tormentato e moralmente ambiguo, che decide di utilizzare un chatbot per scrivere il suo nuovo romanzo. In questa decisione si incarna una questione sempre più pressante: la tecnologia sta progressivamente occupando lo spazio della creazione umana? È etico permettere a un'intelligenza artificiale di intervenire su opere che dovrebbero essere un riflesso dell'animo umano?


Non è una novità che gli scrittori sfruttino strumenti tecnologici. La macchina da scrivere, il word processor e persino internet sono stati elementi che hanno amplificato le capacità dell'uomo. Ma con l'intelligenza artificiale si crea un cortocircuito: non si tratta più solo di supporto alla scrittura, ma di una vera e propria co-creazione. Ayad Akhtar, come testimoniano le informazioni disponibili, ha sperimentato con ChatGPT, dando vita a un monologo che ha sorpreso il cast. È una collaborazione che, paradossalmente, mette in scena l'ambivalenza di questa relazione: l'umanità di un autore che cerca l'estraneità di una macchina per trovare una nuova forma di espressione. Ma cosa significa davvero questa relazione? È una domanda che va ben oltre il singolo esempio di "McNeal".


Il fatto che un autore come Ayad Akhtar, noto per il suo lavoro come drammaturgo e romanziere, vincitore del Premio Pulitzer per la drammaturgia, abbia scelto di collaborare con una macchina per creare una parte del suo lavoro solleva interrogativi fondamentali sulla natura della creatività. È ancora creazione autentica se una parte del processo viene esternalizzata a un algoritmo? Oppure questo connubio rappresenta semplicemente un nuovo capitolo nella storia della creatività umana, dove i limiti sono ridefiniti in funzione degli strumenti che abbiamo a disposizione?

 

Controversie intrinseche del rapporto IA-Creatività

Il rapporto tra intelligenza artificiale e creatività è intrinsecamente controverso. Da una parte, ci sono le incredibili potenzialità dell'IA nel generare nuove idee, nel suggerire soluzioni e nel superare le limitazioni umane. Dall'altra, però, c'è la paura di una perdita di controllo, del senso di autenticità e dell'identità dell'artista. L'IA non ha emozioni, non prova gioia, dolore o amore. Quindi, come può davvero creare qualcosa di significativo per l'essere umano? L'IA può attingere al vasto mondo di conoscenze su cui è stata addestrata, un insieme che rappresenta l'espressione di tutte le informazioni accumulate dalla collettività. Tuttavia, ciò che manca all'IA è qualcosa di profondamente umano: l'identità e l'esperienza vissuta. L'IA conosce, ma non comprende davvero. Mentre il percorso creativo umano prende sempre spunto dalla storia dell'arte e dalle sue tecniche, vi aggiunge il proprio vissuto, il proprio modo di vedere la vita, creando qualcosa di unico. In questo senso, l'IA potrebbe essere interpretata come una fonte di tutto ciò che è già stato creato, a cui l'artista aggiunge la propria identità, il proprio particolare e originale punto di vista. Ciò che rende la creazione artistica autenticamente umana è l'esperienza, l'emozione e la capacità di dare significato alle proprie opere, un processo che l'IA, per quanto potente, non può replicare. L'IA conosce, ma non ha vissuto una vita reale, e questo limite fondamentale è ciò che la separa dall'autentica capacità di comprendere e di creare arte significativa.

 

Questa controversia si riflette nella scelta del personaggio di Jacob McNeal di utilizzare un chatbot per scrivere il suo nuovo romanzo. L'idea stessa di usare un'intelligenza artificiale per creare un'opera letteraria sfida l'idea romantica dell'artista come genio solitario, capace di attingere alla profondità della propria anima per generare bellezza e significato. Il personaggio di McNeal, attraverso la sua decisione, solleva la questione se l'uso dell'IA possa essere visto come una forma di scorciatoia o come una vera e propria evoluzione della creatività artistica.

 

Provocazione e critica in "McNeal"

Tuttavia, "McNeal" sembra andare oltre la questione tecnologica. Il personaggio di McNeal è descritto come distruttivo e provocatorio, capace di dichiarazioni che sconfinano nella crudeltà gratuita. Le critiche riportano che, in una scena, McNeal deride un'assistente sud-asiatica con una battuta razzista, mentre in un'altra paragona un giornalista afroamericano a una "diversity hire". Sono provocazioni studiate per urtare il pubblico, ma forse più vuote di quanto l'autore volesse. La reazione dei critici è stata variegata: alcuni hanno elogiato la capacità di Akhtar di ritrarre l'industria letteraria alle prese con l'intelligenza artificiale, mentre altri hanno bocciato l'opera definendola un esperimento teatrale fallito, più vicino a un lungo monologo alla Bill Maher che a un'esplorazione profonda dell'animo umano.


Le provocazioni di McNeal sembrano intenzionalmente esagerate, quasi a voler sottolineare il lato più oscuro e sgradevole della figura dello scrittore. Tuttavia, queste provocazioni potrebbero anche essere interpretate come un modo per mettere in evidenza la disconnessione tra il personaggio e il mondo che lo circonda. McNeal, che si affida all'intelligenza artificiale per scrivere, sembra incapace di connettersi autenticamente con le persone intorno a lui. La sua dipendenza dalla tecnologia è un riflesso del suo stesso isolamento emotivo, e questo è uno degli aspetti che potrebbe essere esplorato con maggiore profondità.

 

Il dilemma dell'autorialità

L'aspetto più inquietante è la riflessione sull'autorialità. Quanto è autentico il risultato finale di un processo in cui l'intelligenza artificiale contribuisce, anche solo per due righe? Robert Downey Jr. stesso ha affermato che l'unica bugia di Akhtar è proprio il contributo dell'IA nel discorso finale, ma quella bugia è un segno dei tempi. L'arte è diventata una questione di autenticazione, di filtri, di revisione costante. L'autore cede il passo a una rete neurale, e il pubblico si ritrova a chiedersi dove sia il confine tra il genio umano e l'efficienza della macchina. La riflessione su cosa costituisce una vera creazione artistica è destinata a diventare sempre più centrale. In un mondo in cui anche la nostra creatività è condivisa con le macchine, il valore di ciò che è autenticamente umano diventa sempre più difficile da definire e difendere.

 

L'autorialità diventa quindi un tema centrale, non solo per "McNeal" ma per la società in generale. Con la crescente presenza dell'intelligenza artificiale nei processi creativi, dobbiamo ridefinire cosa significa essere autori e quale sia il valore intrinseco dell'atto creativo umano rispetto a quello generato in collaborazione con una macchina. La perdita di autenticità potrebbe portare a una cultura più superficiale, dove il significato viene diluito e la profondità viene sostituita dall'efficienza.

 

La biografia AI come esempio di deumanizzazione

Ci sono storie, come quella delle biografie di celebrità recentemente decedute, che rispecchiano il lato più macabro dell'intervento tecnologico nell'editoria. Biografie generiche, piene di errori e scritte da intelligenze artificiali, appaiono in poche ore su Amazon, spinte non dalla ricerca della verità, ma dalla necessità di monetizzare rapidamente su eventi tragici. La velocità e l'indifferenza emotiva con cui queste opere vengono prodotte è l'antitesi dell'impegno personale di uno scrittore umano, un segno tangibile di come il processo creativo sia stato deumanizzato. Non è un caso che Jonathan Karp, CEO di Simon & Schuster, abbia espresso inquietudine dopo aver visto "McNeal"; le preoccupazioni sollevate dall'opera riguardo al futuro dell'editoria sono già realtà. L'industria culturale è a un bivio, dove deve decidere se abbracciare questa tecnologia o trovare un modo per limitare il suo impatto disumanizzante.


L'esempio delle biografie prodotte dall'IA è emblematico di come la tecnologia possa spingere verso una standardizzazione della creatività. La capacità di creare contenuti in modo rapido e senza supervisione umana rischia di svuotare di significato l'atto creativo, portando a un consumo di massa di opere che non hanno alcun legame reale con l'emozione umana o con l'autenticità dell'esperienza. Il rischio è quello di una perdita di valore delle narrazioni personali, sostituite da una sorta di produzione industriale dell'arte.

 

Questioni etiche e limiti dell'intelligenza artificiale

L'intelligenza artificiale è impersonale ma non è neutrale: è programmata da esseri umani, con tutte le loro imperfezioni, i loro pregiudizi e le loro limitazioni. Quando si lascia che sia un'IA a scrivere una biografia o un'opera teatrale, si trasferisce parte del potere creativo e interpretativo a un sistema che, per quanto avanzato, non può comprendere davvero il significato di ciò che scrive. È questo il vero rischio: non tanto che l'IA possa sostituire gli scrittori, ma che possa trasformare la creazione artistica in un'attività priva di significato, decontestualizzata e senza una reale comprensione del vissuto umano.


Inoltre, è necessario considerare come il processo decisionale legato all'uso dell'IA nella creazione artistica possa essere soggetto a pregiudizi insiti negli algoritmi stessi. Un'IA addestrata su dati preesistenti potrebbe replicare e amplificare stereotipi culturali, influenzando così il contenuto delle opere che crea. Questo solleva la domanda se sia davvero possibile ottenere una creazione artistica etica utilizzando un sistema che, per sua natura, è limitato dalle informazioni con cui è stato addestrato.

 

Un'occasione mancata

Eppure, "McNeal" sembra fallire proprio lì dove avrebbe potuto avere più successo: dare una risposta al senso di disorientamento che l'uso delle intelligenze artificiali nel processo creativo comporta. Sembra più interessato a scioccare, a provocare, piuttosto che a fare luce sulle reali dinamiche di questa interazione. Downey Jr. porta il suo carisma sul palco, ma la sua interpretazione, descritta come "opaca" e "rigida", non riesce a elevare un testo che rischia di perdersi nella sua stessa ambizione. La rappresentazione teatrale diventa un'occasione mancata per esplorare le vere implicazioni di una co-creazione tra uomo e macchina. Akhtar avrebbe potuto sviluppare con maggiore profondità il dilemma di McNeal, rendendolo più umano, più vulnerabile, e mostrando come l'uso della tecnologia non sia solo una scorciatoia, ma anche un riflesso delle sue stesse paure e insicurezze.

 

La vulnerabilità di McNeal avrebbe potuto rappresentare il vero punto di svolta dell'opera, mostrando come l'uso dell'IA sia anche una forma di resa, una fuga dalle proprie insicurezze e limitazioni. Questa vulnerabilità, infatti, non riguarda solo McNeal come individuo, ma diventa l'archetipo della vulnerabilità dell'intera umanità, che si trova non solo a dover affrontare le proprie paure e debolezze, ma anche a confrontarsi con la potenza dell'IA stessa. L'incapacità di affrontare la sofferenza e la difficoltà insite nel processo creativo spinge McNeal a cercare rifugio nell'intelligenza artificiale. Mostrare questo lato umano del personaggio avrebbe potuto aggiungere una profondità significativa alla storia, rendendo la sua relazione con l'IA ancora più complessa e stratificata, e riflettendo in modo più chiaro una condizione universale: il desiderio di sfuggire al peso delle proprie limitazioni, il confronto con la potenza crescente dell'intelligenza artificiale, e la ricerca di soluzioni apparentemente più facili attraverso la tecnologia.

 

La tensione tra originale e copia

Come scrivere allora un articolo su "McNeal" senza averlo visto? Forse la risposta è proprio in questa tensione tra l'originale e la copia, tra l'esperienza diretta e la riproduzione mediata. Forse, proprio come McNeal, sto cercando di dare un senso a qualcosa che sfugge, una rappresentazione che è già stata mediata, filtrata e distorta dalla nube dell'informazione digitale. Non c'è nulla di più umano del voler comprendere, del voler esprimere un'opinione, anche quando le informazioni sono incomplete, anche quando il contatto diretto con l'opera è negato. Forse è proprio questa la vera essenza dell'arte: non la perfezione o l'autenticità assoluta, ma il desiderio incessante di comprendere, di colmare il divario tra ciò che vediamo e ciò che immaginiamo.

 

La tensione tra originale e copia non riguarda solo l'arte, ma anche la nostra stessa esistenza in un mondo in cui la realtà viene costantemente mediata e filtrata. Viviamo in una società in cui le nostre esperienze sono sempre più digitalizzate, e il confine tra l'autentico e il virtuale diventa sempre più sfumato. Questa tensione si riflette anche in "McNeal" e nel mio tentativo di scrivere di un'opera senza averla vista: è un tentativo di riconciliare ciò che è vero con ciò che è rappresentato, di cercare un significato in un contesto sempre più complesso.

 

Conclusione

Alla fine, "McNeal" ci pone di fronte a una verità scomoda: il progresso tecnologico, per quanto possa migliorare le nostre capacità, rischia di allontanarci dal vero cuore della creazione artistica. La domanda non è se le intelligenze artificiali ci sostituiranno, ma cosa significherà per noi continuare a creare in un mondo in cui le nostre parole, le nostre emozioni e le nostre storie sono condivise con macchine che non possono, e non potranno mai, comprenderle davvero. Cosa accadrà alla nostra capacità di emozionarci, di trovare significato in ciò che creiamo, se parte di quel processo viene delegato a qualcosa che non ha mai vissuto, che non può provare nulla? La vera sfida sarà mantenere viva la scintilla dell'esperienza umana, assicurarsi che la nostra voce non venga annegata dal coro anonimo delle macchine, e trovare nuovi modi di coesistere, senza perdere ciò che ci rende unici.



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